Smart, la parola-trappola
la seconda classe. Le parole hanno sempre un valore semantico e simbolico figlio del loro tempo. Nell’Ottocento, quando il treno diventò la novità rivoluzionaria del secolo dell’industrializzazione, la “classe” andava di moda, e così nei convogli fecero la prima, la seconda e la terza. Nasceva una ossessione tassonomica per la classificazione dei ceti e delle loro gerarchie, che derivava dall’emergere di due nuovissimi gruppi sociali, il proletariato delle fabbriche e la piccola borghesia dell’impiego. Perfino Marx si appropriò del termine, sappiamo con quanto successo. E la distinzione tra le classi non era solo relativa al confort (qualcuno ricorderà la “terza classe” del Titanic, descritta nell’omonimo film, cui venne rifiutato il posto sulle troppo poche scialuppe di salvataggio).
Poi la classe media dilagò nel secondo dopoguerra, riducendo le differenze sociali. E il miracolo economico abbatté definitivamente la terza classe. Un solo grado di separazione sociale, tra prima e seconda, sembrò bastare. Ma l’epoca della globalizzazione, della liberalizzazione, della consumers’ choice e della sharing economy, non può tollerare più neanche la seconda classe. Siamo tutti consumatori intelligenti, che vogliono il meglio e lo vogliono low cost. Così, alla seconda, hanno sostituito la Smart.
Un’ipocrisia? O addirittura un inganno? C’è chi dice di sì. Il mio amico Pietrangelo Buttafuoco, con cui ho condiviso sui social il dubbio, dice che la classe Smart sui treni è l’equivalente dell’espressione “smart working” con cui oggi si descrive il precariato. Basta mettere la parola magica in inglese, e la pillola va giù, tutto brillerà di più. Infatti c’è anche la Premium, la Business, la Club, la Executive, e vacci a capire che compri. Un’altra amica di social, Greta Belbusti, mi ha segnalato che solo se ti chiami “bakery” e non “fornaio” puoi vendere il pane a 12 euro al chilo a Milano. L’Accademia della Crusca dal canto suo informa che presso la sede di Firenze si è addirittura insediato un gruppo di lavoro dal nome “Incipit”, che si occupa proprio di «monitorare i neologismi e i forestierismi incipienti». E fraudolenti, aggiungerei io. Perché gli anglismi sono una moda quasi irrefrenabile in un’epoca in cui la cultura di massa è egemonizzata dalla lingua franca dell’anglosfera. Ma se sono utilizzati per confondere le acque, per annebbiare la vista del consumatore, per indirizzare le scelte di acquisto di un pubblico frastornato, allora rischiano di diventare l’equivalente del latinorum di Azzeccagarbugli. Quindi, per favore, la prossima volta, quando mi vendete un biglietto Smart, scrivete tra parentesi categoria B, seconda classe, offerta più economica: tanto lo prendo lo stesso.
L’altro giorno, prendendo un treno, mi sono accorto che la classe Smart era in fondo al convoglio. Quando avevo fatto il biglietto, pensavo che il termine alludesse a una vettura silenziosa, o refrigerata, o con un Wi-fi da sballo, tutte cose che rendono il viaggio più “intelligente”. Mi hanno detto: «C’è un’offerta speciale in Smart», e mi era parso che mi regalassero un privilegio. Invece era solo