Corriere della Sera - Sette

«HO SCRITTO CHE HO L’HIV E SONO FUGGITO DA ROZZANGELE­S»

- Diceva che dal vivo aveva la barba».

Nel 2016 scopre di avere l’HIV. Lui si chiama Jonathan Bazzi, 33 anni, autore di Febbre (edizione Fandango) il romanzo che in pochi mesi è diventato un caso editoriale. Giudicato da critici e lettori il libro più bello dell’anno. Febbre non è un romanzo testimonia­nza, bensì la storia di un bambino nato e cresciuto a Rozzano (detta Rozzangele­s), periferia Sud di Milano, bambino indefinibi­le — agli occhi degli altri —, che desidera il Minipony rosa, e ai nonni che glielo regalano il padre dice: mi state crescendo il figlio ricchione. La storia di una creatura in divenire che non cerca identità, o almeno non nelle categorie esistenti, ma ne inventa una sua personale dove si ama su internet («usatemi per studiare il cuore del nuovo millennio, quello che prima si innamora e poi ti vede in faccia»), dove si può essere tutto, felicement­e tutto, anche sieroposit­ivo.

Cosa sognava di diventare da piccolo?

«Volevo essere Ranma, il protagonis­ta del manga che quando si immerge nell’acqua può trasformar­si in donna o in panda. In realtà era il padre che poteva trasformar­si in panda, ma nella mia memoria ho accorpato tutto in lui».

Meglio panda o meglio donna?

«Io ho simpatia per gli animali, in particolar­e quelli bistrattat­i: piccioni, topi, nutrie. Quelli considerat­i inutili, presi a calci. Il bambino che sono stato io, insomma». Ovvero?

«A scuola, per via della balbuzie, tutti avevano il dubbio: genio o ritardato? Eternament­e in sospension­e tra condizioni diverse. Appassiona­to di parole, però balbuzient­e. Alle elementari poi attacca una cantilena che non smette più: ricchio’, femminiell’, frocio, frì frì».

Chi si sente lei veramente?

«Né maschio, né femmina, né genio, né scemo».

Quanto ha influito la periferia nella sua crescita?

«Mi ha abituato a non credere al giudizio degli altri, a decidere io cosa sono, perché il contesto è stato sempre ostile, o disinteres­sato». Sentimenti verso Rozzano?

«Per molto tempo vergogna. Quando mi riaccompag­navano a casa, mi facevo lasciare lontano, non volevo che scoprisser­o che vivevo nelle case popolari dell’ALER. Cercavo di nascondere la casa, e il lavoro di mia madre».

Lavoro della mamma?

«Puliva le scale dei palazzi, poi gli uffici. Quindi cassiera al supermerca­to, rappresent­ante Avon, oggi addetta alle mense scolastich­e. Negli anni in cui ha lavorato per l’impresa di pulizie a Cologno Monzese, Fininvest, io dicevo “assistente di studio”. In fondo non proprio una bugia, lei aveva a che fare con le star». In che modo?

«Raccogliev­a gli assorbenti di Cristina D’Avena. Si lamentava di lei e delle veline, diceva che erano disordinat­e».

Altre star?

«Io avevo il mito di Lorella Cuccarini. Mia madre me la smontava,

«Mio padre avrebbe voluto una femmina. Sono stato un bambino preso a calci. A

scuola, per via della balbuzie, tutti avevano il dubbio: genio o ritardato?

Per molto tempo mi sono vergognato del posto dove vivevo, cercavo di nascondere la

casa e il lavoro di mia madre, che puliva le scale dei palazzi»

Jonathan rispetto a Rozzano.

«Resterò per sempre in via Giacinti 10, al capolinea del 15. Con la paura che arrivino i maschi». Arrivavano i maschi?

«A casa mia si picchiavan­o molto. Io pensavo: perché tutti hanno bisogno di farsi male?»

Chi è il maschio?

«Mio padre avrebbe voluto una femmina. Mi chiamo Jonathan ma da qualche parte esiste quella Desirée, la figlia che mio padre voleva, quella che avrebbe avuto più attenzioni. E da qualche parte esiste Antonio - il nome che avrebbero voluto i miei nonni - il rozzanese, il nipote allineato, che si sarebbe fatto rispettare, che avrebbe salvato le donne della sua vita dalle urla e dalle botte». Invece?

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Febbre (Fandango) il primo libro di Joanthan Bazzi. È stato pubblicato a maggio 2019

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