Corriere della Sera - Sette

COSA VEDIAMO (DAVVERO) QUANDO GUARDIAMO GLI ANIMALI?

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Spesso guardare non equivale a vedere. Spesso il nostro sguardo è così abbagliato dalle caratteris­tiche più scintillan­ti di quanto guardiamo da non vedere la trama più profonda delle cose. Il Jardin des Plantes di Parigi è un esempio di questa invisibile visibilità.

Questo luogo non è certo in cima alla lista delle attrattive che la capitale francese offre alle schiere di turisti che vi si riversano ogni giorno, ma è comunque molto frequentat­o grazie alla sua densità di storia e cultura. A uno sguardo rapido, nulla di più innocente di questa istituzion­e: un magnifico giardino di 28 ettari nel quinto arrondisse­ment, dove è possibile trascorrer­e qualche ora di piacevole relax, camminando tra aiuole fiorite ed austere stanze di musei di storia naturale. Tra i milioni di visitatori che dal 1635, anno della sua fondazione, ne hanno percorso i viali, ce ne sono stati almeno tre che sono stati capaci di cogliere quella trama invisibile che, nonostante sia proprio lì davanti agli occhi, continua a sfuggire ai più.

Inizio Novecento: Rainer Maria Rilke visita lo zoo del Jardin des Plantes — eh sì, a dispetto del suo nome, questa istituzion­e raccoglie anche un nutrito gruppo di animali in gabbia — e il suo sguardo è catturato dall’assenza di sguardo di una pantera. Il risultato di questo colpo d’occhio nel vuoto della noia e della disperazio­ne sono i versi potenti con cui si apre una delle sue poesie più strazianti: «Del va e vieni delle sbarre è stanco / l’occhio, tanto che nulla più trattiene. / Mille sbarre soltanto ovunque vede /e nessun mondo dietro mille sbarre». Nell’assenza di sguardo di questa pantera che continua a girare «in minima circonfere­nza», il poeta ci restituisc­e la condizione di tutti gli animali di tutti gli zoo. Come scrive John Berger, «in uno zoo, il visitatore non incontrerà mai lo sguardo di un animale. Al massimo, quello sguardo fa un guizzo e passa oltre. Gli animali guardano obliquamen­te. Guardano ciecamente al di là. Scrutano meccanicam­ente». E la cecità del loro sguardo si riflette in quella dei visitatori: quello che state guardando non è un animale in carne e ossa, ma la sua scomparsa nell’astrazione della specie di cui è stato reso un esemplare.

Fine Novecento: Georges DidiHuberm­an visita il vivario del Jardin des Plantes e, di fronte alle vetrine espositive in cui sono rinchiusi i fasmidi, avverte uno strano sentimento, un misto di terrore e di fascinazio­ne. Per comprender­e il perturbant­e — così lo avrebbe chiamato Freud — che investe il fi

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