Corriere della Sera - Sette

EVA RICCOBONO DALLA MODA AL TEATRO «MI GIUDICO TROPPO PER IL TERRORE DI NON PIACERMI»

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Ha lavorato per mesi, anche otto/nove ore al giorno, per diventare brutta, camminare male, parlare come una troglodita. E sembrare così ignorante, stolta e aggressiva. Conclusion­e? «Massì, sono contenta di aver mollato Eva Riccobono, quella Eva Riccobono». Alta, bella, bionda, regale eccetera, eccetera. «Ecco, appunto sì. Anche quello un fardello, comunque». Perché lei non è così? L’hanno disegnata così? «Diciamo che qualche etichetta di troppo me l’hanno appiccicat­a, ingiustame­nte. La mia agente dice sempre che mi identifica­no per esempio come “quella algida”. Algida io? Ma per favore. Io sono siciliana al cento per cento. Palermitan­a doc. Diciamolo: terrona vera». Sarà per via dei capelli biondi, gli occhi azzurri, la pelle bianca e quello stacco di coscia chilometri­co ereditati da papà tedesco (mamma siciliana, certo). «No guardi, le mie sorelle sono castane, ambrate e burrose, ma algide da fare paura, loro sì. Maledetti stereotipi».

Con Eva è così. Si comincia parlare di curve e si finisce con l’incazzarsi sui pregiudizi. «Si tende sempre a classifica­re tutto, a cominciare dalla diversità. Detesto l’idea che la normalità sia corretta, perché non è sempre detto. Amo invece la follia e le debolezze, che spesso, invece, significan­o sensibilit­à, anche solo di vedere le cose in un altro modo».

Cosa poi lei abbia a che fare con la bruttezza, è presto detto. In estate è stata una giovane donna senza-nome in Coltelli nelle galline, testo tratto da un’opera di David Harrower, portato in scena per la regia di Andrée Ruth Shammah (fino al 20 ottobre al Teatro Parenti di Milano): «Una come me, un po’ strega. Che crede nelle sensazioni e che sa cose perché le sente. Per esempio dal primo istante che ci siamo conosciute, parecchi anni fa, lei già coglieva aspetti di me che solo io, e a malapena, mi confesso».

Cioè?

«Le mie paure».

Per esempio?

«Le mie fughe».

Molto vaga, che fa? Fugge già? «Ecco appunto. Andrée mi ha braccata. In realtà fui io a dirle “con lei sì vorrei lavorare”. La mia più grande paura sono io, me stessa. Mi giudico troppo per il terrore di non piacermi. Sexy io? Macchè, sono come Pippo della Disney. Eh, ma ho risolto».

Davvero, come?

«Non mi guardo più. Non un video, né una foto».

Ma, allora, su Instragram i suoi scatti e le sue storie?

«Appunto, spesso sono orrende, sono orrenda. Basta con la perfezione: la rifiuto, viva i difetti».

Ed è per questo che è salita su quel palco becera e ignorante? «Il mio compagno Matteo ha detto ad Andrée: “Eva sogna di reci

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