Corriere della Sera - Sette

In famiglia meglio preferire la felicità alla perfezione

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Questa domenica è stata per me un esempio di giornata felice in famiglia, trascorsa con mia figlia, i miei genitori e i loro rispettivi compagni. I nipoti sono capaci di questo e altro, si dirà. Ma ogni volta che lo racconto, qualcuno solleva le sopraccigl­ia stupito: «Come tutti insieme?». Non accade nulla di straordina­rio

durante queste riunioni: il pranzo, le chiacchier­e, i giochi. Eppure, se provo a guardarle con distacco, lo capisco: la serenità che si respira, le battute, la spontaneit­à, non posso davvero darle per scontate.

Mi è capitato di sentirmi compatita, da ragazzina, quando rivelavo di essere figlia di separati, e ci sono sempre rimasta male: un po’ perché non fa mai piacere essere trattati come vittime, un po’ perché nella fine di una storia d’amore non ci vedo nulla di apocalitti­co o scandaloso.

Succede, e anche di frequente. Il punto è un altro: con la fine di quella storia non si smette di essere genitori, di esserlo intendo – nella testa di un figlio – insieme. Quel che mi ha resa così felice, domenica scorsa, è stato non trovarmi costretta a dividere me e mia figlia, vedere lei entusiasta di giocare con quattro nonni insieme, di sangue o acquisiti poco importa. Le famiglie sono come le persone: vuoi ingabbiarl­e in una definizion­e e non ci riesci.

I sentimenti e le relazioni hanno bisogno di trovare configuraz­ioni nuove, cambiare e assestarsi in geometrie uniche, irripetibi­li. Perché ciascuno di noi lo è. Da donna adulta mi rendo conto di quanto sia difficile mettere da parte un’intera storia d’amore, soprattutt­o se dolorosa. In certi casi suppongo sia impossibil­e. A volte, però, i margini forse esistono e quel che occorre è sfidare le convenzion­i che esigono gli uniti sempre uniti, i separati solo separati.

Nora Ephron scrive in La parola con la D, che potete leggere ne I racconti delle donne a cura di Annalena Benini, che il vero peccato di un divorzio è che «per vedere un genitore il figlio di separati deve abbandonar­e l’altro». Sono d’accordo. Da ragazzina non ho mai preteso che i miei genitori fossero una coppia affiatata, anzi: la loro vita sentimenta­le non doveva riguardarm­i. Ma il Natale e le altre feste con entrambi, a scherzare su quanto siamo diversi ma anche sugli interessi che abbiamo in comune, è un dono per il quale provo enorme gratitudin­e.

Il fatto è, credo, che un figlio proviene da due storie. Sapere che sono andate d’accordo per un certo periodo, e che quell’accordo non è stato perduto del tutto, fa la differenza: perché quell’accordo sei tu, è la tua radice. La fiducia che ho ricavato dai buffi Natali della mia adolescenz­a, e che ricavo ancora dalle domeniche affollate di oggi, è che i rapporti possono finire trasforman­dosi anziché finire e basta. L’insegnamen­to: preferire la felicità alla perfezione.

NELLA FINE DI UNA STORIA D’AMORE NON CI VEDO NULLA DI APOCALITTI­CO O SCANDALOSO. SUCCEDE

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