UN NEW DEAL DIGITALE ACCANTO A QUELLO VERDE
Un classico degli psichiatri Miguel Benasayag e Gérard Schmit del 2004 annunciava: siamo nell’epoca delle spinoziane “passioni tristi”. Un’era, cioè, in cui dal “futuro-promessa” siamo passati al “futuro-minaccia”. In cui la speranza, la vitalità, perfino il significato e la verità sembrano rassegnate alla sconfitta, alla sparizione. Storicamente, una delle soluzioni all’abisso delle prospettive e delle possibilità è stata l’utopia. Ma oggi la tristezza delle passioni sembra avere contagiato anche i modi della nostra immaginazione. Temo, insomma, che si sia oggi costretti ad ammettere una tristezza forse perfino più radicale: che viviamo un’epoca di utopie tristi. Ed è per questo forse che, nonostante tutto cambi, gattopardianamente nulla sembra davvero cambiare. Perché la forza di una civiltà si misura anche dai suoi sogni, dalla sua capacità di immaginare alternative radicali allo stato presente delle cose.
La fantasia politica, il desiderio collettivo, sono “resistenza speculativa”, dice la scrittrice Malka Older: immaginare il mondo come diverso serve a cambiarlo davvero. Per quante crisi finanziarie e scandali a base di dati personali violati e abusati si susseguano, restiamo immersi nel cinismo conformista e arreso del “there is no alternative” di thatcheriana memoria, nel “capitalismo realista” — ovvero, appunto, senza alternative — teorizzato da Mark Fisher, e che oggi si declina più chiaramente nel “capitalismo della sorveglianza” delle piattaforme tecnologiche: o sei i tuoi dati, o non sei niente. O sei sempre monitorato, valutato, profilato, o sei fuori dal consorzio della civiltà umana. Da cui la tristezza, perché entrambe le utopie si sono rivelate fallimentari. Volevamo il libero mercato a ogni costo, e ci siamo trovati con un sistema economico insostenibile. Volevamo il libero web a ogni costo, e ci siamo trovati
VIVIAMO IN UN’EPOCA DI PASSIONI E UTOPIE TRISTI. MA LA FORZA DI UNA CIVILTÀ SI MISURA ANCHE DALLA GRANDEZZA DEI SUOI SOGNI