SOLO QUANDO RECUPEREREMO LA DIMENSIONE ANTI-UTILITARISTICA DEL FUTURO, POTREMO COMINCIARE A IMMAGINARE IL POST-ZUCKERBERG
con una società digitale insostenibile. E allora non resta altro che armarci di fantasia, sogni e tanta umiltà e provare a re-immaginare il futuro.
Attivisti in tutto il mondo stanno dimostrando, per esempio, che un mondo dove il riconoscimento facciale non è più il default è possibile. Allo stesso modo, un mondo senza capitalismo della sorveglianza è possibile — se si comincia davvero a immaginare non solo come “regolarlo”, ma come eliminarlo radicalmente e rimpiazzarlo con un modello economico e sociale in cui la rete sia davvero di tutti, a misura di democrazia contemporanea e non di dittatura dell’economia digitale. Che volto avrebbe, allora, un web “for the many”? Darebbe priorità ai diritti degli utenti, a partire da chi in rete è più vulnerabile: le donne, le minoranze, i “diversi”. Il web di tutti direbbe a ciascuno: i tuoi dati sono tuoi davvero. E sarebbe interoperabile: anche i tuoi contatti sono tuoi davvero. Li costruisci su Facebook? Non importa, li porti con te ovunque. Sarebbe “decentrato”, invertendo la tendenza naturalmente accentratrice e monopolistica dei servizi digitali. Renderebbe davvero libera la conoscenza scientifica finanziata da denaro pubblico. Userebbe i diritti umani come criterio fondamentale per la moderazione dei contenuti e la creazione di intelligenze artificiali — senza nascondersi dietro al paravento dell’“etica” dell’AI. Renderebbe le città “intelligenti” solo nella misura in cui è utile alle PA e ai cittadini, senza trasformarle in Panopticon all’unico servizio di chi vuole pre-criminalizzare l’intera cittadinanza nel nome della sicurezza — o meglio, di una illusione di sicurezza. Farebbe dei Big Data beni comuni. E separerebbe la viralità e la politica, prevedendo regole molto più severe per i propagandisti di ogni sorta che per i comuni mortali online.
L’utopia digitale per tutti, di tutti, è anche e forse soprattutto un cambio di metodo, però. Così il più grande sogno è forse immaginare un mondo in cui i decisori non si lasciano guidare dai pregiudizi e dai lobbisti, ma dai giudizi e dagli interessi della collettività. E in cui le proposte riflettono problemi e necessità reali, basate su prove e conoscenza scientifica, non sull’hype del momento. L’utopia insomma è evidence-based e insieme speculazione, studio analitico e insieme fantasia. Solo quando recupereremo questa dimensione profondamente anti-utilitaristica del futuro potremo cominciare a guardare davvero a un futuro post-Zuckerberg. Perché la catastrofe dell’immaginazione, in cui siamo talmente immersi da non accorgercene, potrebbe essere urgente quanto quella climatica. E accanto a un “green new deal”, potrebbe servire un “digital new deal”. Più saremo a immaginarlo e scriverlo insieme, più sarà probabile che i nostri figli abitino un mondo in cui quei sogni, e non gli incubi di oggi, diventano realtà. Io ci sono. Voi?
Fabio Chiusi è Project Manager per il progetto Automating Society della no profit berlinese AlgorithmWatch e docente di Giornalismo e nuovi media ed Editoria e media digitali all’Università
ValigiaBlu.