LA RAGAZZA FANTASMA
Ti guarda da un angolo buio del garage, immobile, silenziosa, pronta alla fuga come una gatta spaventata. Lei non sa che ci siamo accorti della sua presenza, mentre salutiamo suo padre che ci accoglie con l’aria preoccupata nel loro ultimo rifugio, fra i campi di girasole di un paesino del Sud: «Entra, ci mettiamo lì». E lì, accanto a un fornello, c’è una signora intenta a preparare il caffè: «Ci vuole pazienza perché lei deve prima fidarsi», sospira.
Parla di sua figlia Sofia, chiamiamola così questa ragazza che si nasconde. Di lei non si può fare il nome e non si può scrivere dove vive per ragioni di sicurezza. Suo padre è un “testimone di giustizia” che nel 2005, quando era ancora imprenditore, decise di denunciare decine di mafiosi che lo taglieggiavano. Non un pentito. Fa parte cioè di quella settantina di persone alle quali il Viminale riconosce questo status. Quando parlò per la prima volta Sofia aveva otto anni e da allora la loro esistenza è diventata un’altra cosa. Scorte, trasferimenti, nuovi amici e nuovi compagni, ai quali lei, che oggi ha 22 anni, non ha mai raccontato il suo passato perché così richiede il programma di protezione.
Tutto è cambiato
«Dai, vieni, stai tranquilla che non scriverà mai il tuo nome», la rassicura il padre quando Sofia, dopo mezz’ora, si affaccia con prudenza alla porta. Eccola, dunque, la ragazza fantasma. È molto bella, ha i capelli lunghi e gli occhi grandi. Resta in piedi e tace per altri dieci minuti: «Tutto è cambiato fin da subito» attacca poi con un filo di voce «anche se all’inizio non capivo bene cosa stesse succedendo. Sapevo solo che dovevo andare a scuola accompagnata da tre uomini armati…».
Tempo sei mesi e arrivò il primo trasferimento imposto dal Servizio di protezione: «Abbiamo lasciato la casa e siamo finiti in una città del Nord dove io avevo cambiato nome: ero diventata Francesca Ferrari».
Per Francesca l’imperativo era