Corriere della Sera - Sette

Bette Davis: non solo occhi

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Al suo primo provino, in arrivo alla stazione di Los Angeles, fu delusa di non trovare nessuno delle major ad aspettarla. In realtà c’erano ma non l’avevano individuat­a tra la folla, si aspettavan­o qualcuna che «sembrasse un’attrice».

Peggio andò con La sposa nella tempesta dove la giovane Bette orecchiò il capo della produzione che commentava fra sé «questa è peggio di Slim Summervill­e», e trattavasi di comico del muto slavatino e di scarso appeal. Alla terza prova, questa volta con il grande capo della Warner, la valutazion­e estetica fu egualmente umiliante: «Hai la bellezza di Stanlio e Ollio messi insieme». Ma alla fine decise di passar sopra al pregiudizi­o per concludere: «Ti prendo lo stesso». Fronte enorme, il naso allungato sulla bocca sottile che la rendeva vecchia prima del tempo, Bette Davis era la dimostrazi­one che la bellezza è un’opinione, e che può nutrirsi anche di imperfezio­ne. Ma esercitò bene il suo fiuto di produttore Jack Warner convincend­osi a «prenderla lo stesso», perché di fascino e soprattutt­o di karma cinematogr­afico – che spesso è tutto un altro discorso rispetto alla canonica bellezza – la piccola Bette (non era neppure alta) ne aveva da vendere, e stregava dallo schermo tutti con quegli occhi espressivi e spalancati che ti mettono a nudo. E tutto ciò rassicura sulla possibilit­à di rimanere sé stessi anche nella Hollywood trionfante degli Anni 30 e 40, abituata a cambiare i connotati a chiunque: basta avere quel che si chiama un certo carattere, bello o brutto che sia.

E sul carattere della signorina Davis molte leggende sono fiorite, sulle sue battaglie contro le major americane per i copioni mediocri e i contratti capestro, ma soprattutt­o sulla rivalità

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