La merendina tassata non salva il mondo
Basterebbe un risparmio di 10 centesimi al giorno a giustificare un nuovo modello alimentare in casa?
L’uso delle tasse per cambiare abitudini dannose per l’ambiente o la salute, e per indurre invece a comportamenti virtuosi, è una buona idea, ma non facile da realizzare. Un esempio: mettiamo che arrivi davvero una tassa di un euro e mezzo su tutti i voli continentali. Dovrebbe servire a disincentivare il consumo di combustibile. Ma se uno deve andare a New York, e non ha a disposizione né una barca a vela né tre settimane di tempo, qual è l’alternativa? Può solo pagare il balzello e comprare ugualmente il biglietto. Il risultato è: nessun “risparmio” ambientale e solo più soldi allo Stato.
Ma – si obietta – con quei soldi si possono fare cose buone, per esempio usarli per la scuola. A parte il fatto che lo Stato non è molto bravo a spender bene, ma è bravissimo a sperperare, c’è da considerare un altro problema. Un’imposta sulle merendine o sulle bibite gasate sarebbe inevitabilmente regressiva, perché flat: nel senso che la pagherebbero tutti, ricchi e poveri, in egual misura. Anzi, più i poveri, perché l’abuso di junk food èun problema che colpisce maggiormente chi ha un reddito troppo basso per comprare alimenti sani ma costosi, e poco tempo libero per cucinarli. Così i meno abbienti dovrebbero finanziare in misura maggiore il benessere collettivo, mentre i benestanti se lo fanno in casa.
Gli ideatori degli incentivi verdi avevano in origine un’altra idea: tassare le cattive abitudini in misura equivalente alla detassazione delle buone abitudini. In Germania vorrebbero colpire i biglietti aerei ma contemporaneamente ridurre il prezzo di quelli dei treni. Il gioco, cioè, dovrebbe essere neutro dal punto di vista fiscale, altrimenti l’incentivo non c’è, e il sospetto che il tutto serva solo a rastrellare un po’ di soldi è legittimo. Guardate la vostra bolletta elettrica: già oggi il 30% del costo è fatto di tasse che paghiamo per finanziare l’uso delle energie rinnovabili.
Aggiungo un altro problema: come si scelgono i comportamenti da punire? Su merendine e zuccheri siamo tutti d’accordo, perché l’obesità è diventata un male sociale. Ma se un domani i non amanti degli animali proponessero provocatoriamente di far pagare una tassa a chi ha un cane perché sporca le strade di tutti? E sarebbe giusto tassare i pedaggi autostradali colpendo chi usa l’auto per andare al lavoro, invece che prendere uno dei famigerati treni dei pendolari? E come potrebbe un agricoltore usare meno gasolio per il suo trattore: arando meno? La leva fiscale, insomma, è un’arma a doppio taglio. Da maneggiare con cura. Le tasse “educative” non esistono, perché niente può sostituire l’educazione.
Alzi la mano il genitore che non odia le merendine. Lo sappiamo tutti che non è cibo sano, almeno non tanto quanto un dolce fatto in casa o della bella frutta fresca. Ma se le tassassero come ha proposto il ministro Fioramonti, se ce le facessero pagare qualche centesimo in più, credete che i nostri figli ne consumerebbero meno?