Storia di Piero, folaga maschio che a 7 anni mi svelò la morte
E io Piero lo avevo visto, una mattina di primavera, quella mattina. Non ricordo se ci fosse la possibilità di adottare altri animali, dubito: di certo io non avrei scelto la folaga. Nella mia memoria la folaga è una scelta obbligata, e nella stessa memoria ogni bambino aspetta il suo turno.
Quella mattina nell’oasi Wwf di Orbetello prendono il volo dodici folaghe. Ricordo il momento preciso, quando mi spingono di fianco al guardiano che tira fuori non ricordo da dove il volatile, e mi chiede come lo voglio chiamare, e io di rimando chiedo se sia maschio o femmina, e quello risponde maschio, alché io battezzo: Piero.Mi piace pensare che l’adozione di un animale di una specie in via di estinzione sia stata un’idea di Fulco Pratesi, fondatore del Wwf Italia. Un giorno, il lampo di genio: basta teoria! I bambini hanno bisogno di vedere. Mi piace immaginare lui in persona in quanto amico di mio padre (almeno così diceva papà, o millantava), cosa che mi permetteva di sospirare coi compagni di scuola: io posso andare a trovare Piero quando voglio. Mentivo. E mentendo arrivavo al cuore del problema: come fare a rivedere il proprio animale?
Sì, l’adozione avvicinava i bambini alla natura (da quel momento in poi ogni azione era preceduta dallo scrupolo se potesse nuocere o meno a Piero), sì, sollecitava un’attenzione nuova, primo passo di quella che sarebbe diventata una sensibilità ambientalista. Non bambole, non pupazzi, ma esseri viventi il cui solo pensiero comportava una serie di gesti di rispetto verso il pianeta. Niente plastica in mare/laguna, potrebbe far male a Piero. Non strappare cespugli, nel caso Piero volesse un luogo dove trovare riposo.
Eppure devono esserci stati dei problemi se a distanza di quarant’anni la pratica dell’adozione Wwf è cambiata. Oggi, previa donazione, e scelta dell’animale in via di estinzione, arriva a casa il peluche corrispondente. Cambiamento che non mi sento di contestare, perché, malgrado l’esperienza irripetibile, l’adozione della folaga spingeva il bambino a una coscienza green, ma anche verso un baratro che esigeva un’astrazione, altro che concreto. Eccomi – sette otto anni –, sguardo all’orizzonte. Dov’è Piero? – In cielo – Non lo vedo. – Ma lui sì. Non capire, tornare a chiedere, ostinarsi, ridatemi il mio uccellino, e la questione cambiava di ambito. A forza di domandare dov’è Piero, quel tormento è finito per diventare la prima riflessione su ciò che non si vede, il primo interrogarsi su cosa c’è dopo la morte. Benvengano dunque i peluche, il trio polare – orso, pinguino foca – che campeggia sul letto di mia figlia, a disposizione per essere infilato sotto le coperte, abbracciato stretto stretto, buonanotte.
Dov’è Piero? In cielo – non doveva essere il mio primo dialogo sull’aldilà, il primo interrogarsi su cosa c’è dopo la morte. Avevo sette anni, e nel mio orizzonte non esisteva morte, men che meno profondità d’animo che investigasse sul trascendente. Esistevano bambole, vestiti, tutto ciò che si vedeva.
L’ANIMALE ADOTTATO AVVICINAVA I BIMBI ALLA NATURA. MA SE OGGI IL WWF MANDA A CASA SOLO IL PELUCHE UN PROBLEMA C’ERA...