Corriere della Sera - Sette

Allontanar­si e vedere che è la (nostra) Terra

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Siamo sempre stati in lotta con la legge di gravità, attirati dall’immenso universo che ci circonda. Volare, staccarsi da terra, è un sogno ricorrente dell’umanità. Per secoli ci sono stati i viaggi immaginari di romanzi, e le scalate sulle montagne, per cercare di conquistar­e almeno uno sguardo d’insieme.

I fratelli Montgolfie­r nel 1783, e i fratelli Wright nel 1901 con il primo prototipo di un aereo, ci hanno regalato l’ebbrezza di sollevarci finalmente dal suolo, avvolti dal cielo. Nel 1957 per la prima volta un oggetto fabbricato dall’uomo, un satellite, girò attorno alla Terra seguendo le stesse leggi che regolano il movimento degli altri corpi celesti. È stato un evento straordina­rio, anche se non ci si pensa mai. Non siamo più creature legate alla Terra, commentò Hannah Arendt; «per un’ora», scrisse Emmanuel Lévinas a proposito del primo uomo nello spazio, Jurij Gagarin, «un uomo è esistito al di là di ogni orizzonte – intorno a lui tutto era cielo, o più esattament­e era spazio geometrico. Un uomo esisteva nell’assoluto dello spazio omogeneo». Negli esseri umani c’è sempre stato questo desiderio di muoversi, di superare i limiti, di andare oltre. Cinquant’anni fa, nel 1969, infine, l’allunaggio, il sogno che si coronava.

Ma da lassù si scoprono cose nuove. La Terra per noi è sempre stata l’invisibile per eccellenza; qualcosa che stava sotto i nostri piedi, ovvia, solida, inavvertit­a. Osservata da lontano, si mostrava sotto una nuova luce. Ora appariva come un pianeta, qualcosa in movimento, insomma: un astro errante nello spazio misterioso. Ma soprattutt­o, immersa in questi spazi siderali, essa si rivelava in tutta la sua splendente unicità: «l’oasi cosmica», scrisse un altro filosofo, Hans Blumenberg, «il miracolo dell’eccezione, l’unico pianeta blu nel mezzo del deludente deserto celeste». Questo mostravano le prime foto (un’altra novità eccezional­e a cui non pensiamo mai: ma nessuno prima di noi aveva visto la Terra nella sua interezza). Succede sempre così: è solo nel momento dell’allontanam­ento che si comprende davvero la bellezza irripetibi­le di ciò che ci sta davanti. Non possiamo naturalmen­te escludere che altrove nell’universo ci siano altre forme di vita o pianeti come il nostro. Ma queste eventuali scoperte nulla toglierebb­ero all’importanza del nostro piccolo, fragile, pianeta. È un corpo celeste come gli altri, la Terra, certo; ma è anche eccezional­e, unica – il pianeta blu, il pianeta vivo. Ed è qualcosa di nostro. Qui stiamo e su di essa viaggiamo: per questo dovremmo prendercen­e cura. Sembrano consideraz­ioni astratte; lo sono per chi rimane chiuso nel cerchio delle proprie abitudini, convinto di poter fare parte per sé stesso. Nella natura degli esseri umani del resto è fin troppo radicata l’illusione che i problemi riguardino sempre gli altri; e anche se non lo si può ammettere si prova una gioia perversa quando si assiste al naufragio altrui, al sicuro delle proprie postazioni, come nei famosi versi di Lucrezio: «È dolce, quando i venti sconvolgon­o le distese del vasto mare, / guardare da terra il grande travaglio di altri...». Il piccolo problema è però che qui non ci sono più terraferma o postazioni sicure: siamo tutti imbarcati, e non come passeggeri.

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Il filosofo di origini ebraico-lituane Emmanuel Lévinas (1906-1995) definì Gagarin nello spazio «uomo esistito al di là di ogni orizzonte»

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