Corriere della Sera - Sette

RINASCE IL BIANCO DI BREGANZE CHE AVEVA CONQUISTAT­O LO CHEF MARCHESI

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Quando lo scoprì, durante un pranzo con braciole e pesche, Gualtiero Marchesi ne volle un carico tutto suo. Ordinò a Fausto Maculan, vignaiolo di Breganze, di preparare un’etichetta tutta per lui del Prato di Canzio. «Era un bianco alla moda della Borgogna», ricorda Maculan, «tostato e potente, con Chardonnay e Sauvignon. Lo vendevamo dal 1978. Piaceva come i pochi grandi bianchi dell’epoca, il Gavi di Gavi o il Vintage Tunina». A differenza dei degli altri due capisaldi dell’Italia da bere, il Prato di Canzio morì nel 1996, «vittima della moda dei vini monovariet­ali», assicura Maculan. Ventitré anni dopo, il Prato di Canzio rinasce. Portando con sé due novità. La prima in bottiglia: ora assieme alle uve di un tempo vengono usate anche quelle dell’autoctona Vespaiola, che aumenta il tocco fruttato. La seconda in cantina: assieme a Fausto ci sono le due figlie, Angela e Maria Vittoria, ragazze sveglie e appassiona­te, con il compito non facile di trovare la via giusta all’ombra di un personaggi­o istrionico e colto come il padre. «Sono un veronellia­no della prima ora», si definisce Fausto, «ma sono anche uno capace di cambiare strada, quando quella vecchia non porta da nessuna parte».

Il Prato di Canzio, in un Veneto che sogna l’autonomia, recupera un nome di Roma antica. era un legionario al quale avevano regalato un po’ di terra tra la pianura e l’altopiano di Asiago. Il luogo si trasformò da Pratum Cantium a Pre-Cantio, fino a diventare l’odierna Breganze. Il vino di oggi è più tecnologic­o e meno legnoso del predecesso­re: identica la profondità e l’aspirazion­e alla longevità.

«Alla fine il nuovo blend è stato scelto dalle figlie», svela Maculan, «io ne preferivo un altro, ma loro l’hanno bocciato», dice sorridendo. «Volevamo che si sentisse più forte il nostro territorio», spiega Maria Vittoria, «per questo abbiamo inserito il 30% di Vespaiola, che viene vinificata in acciaio come il Sauvignon. Barriques invece per il Chardonnay, che resta cinque mesi sui lieviti. Poi l’assemblagg­io e il riposo per un anno in bottiglia. Così il vino conserva una grande bevibilità». L’annata sul mercato è la 2017. Poche le bottiglie: 1.500. A suo modo un omaggio all’intuito di Marchesi.

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