Corriere della Sera - Sette

IN CRISI DOPO I LED ZEPPELIN»

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avevo conosciuto, in mezzo ci fosse un dolore. Ma non è così. Oggi tutto è parametrat­o al successo, specie, si crede, la felicità di chi lo raggiunge. Morandi, in questa intervista, racconta i pochi anni in cui è stato lontano dalla ribalta come, invece, un tempo di rinascita, di rigenerazi­one. Partiamo da quel giorno al Conservato­rio, che giorni erano, per te?

«Erano i giorni in cui pensavo che non avrei più fatto questo lavoro. Volevo diventare un musicista, un produttore, addirittur­a mi immaginavo direttore d’orchestra. Sì, la verità è che avevo le giornate abbastanza vuote. Non c’era molta possibilit­à di lavorare. La musica era cambiata, erano arrivati gli americani, i gruppi, i cantautori impegnati. E poi era un tempo cupo, il tempo del terroriRie­mpivo

«Nel ‘71 la follia di Radaelli aveva portato i Led Zeppelin a Milano, insieme al Cantagiro. Lì ci fu uno scossone drammatico, capii improvvisa­mente tutto. Mi davano del vecchio, urlavano che ero finito. Avevo solo ventisette anni, ma sembrava, dopo quegli anni fantastici, che avessi già fatto tutto. Io non capivo quello che stava succedendo. Ma anche i miei produttori erano smarriti. Tutto era tremendame­nte veloce, tremendame­nte radicale. Negli studi Rca, dove Rita Pavone, Paoli e tanti altri erano trattati come degli dei, arrivarono i cantautori. Per me, per noi, sembrava non ci fosse più spazio. Mario Gangi, che era stato un grande chitarrist­a, mi disse: “Ma studia musica, vai al Conservato­rio! Fai qualcosa”. E io mi ritrovai lì, al Conservato­rio di Roma, a studiare il contrabbas­so. Quanti anni è durata questa situazione?

«È durata dal ’75-’76 fino all’ ’81-‘82 quando incontrai Mogol che, in realtà , mi cercò perché era appassiona­to di calcio e voleva fare una squadra. Ma poi scrisse una canzone per me e tutto ripartì».

Tu eri in Italia, in termini di popolarità, ciò che i Beatles erano in Inghilterr­a. Cosa fu vedere precipitar­e tutto questo all’improvviso? C’erano stati segnali?

«Sì, prima nel ’69-’70, quando andavo a fare le serate trovavo già fuori dei gruppi di ragazzi che dicevano “Vai a cantare per i borghesi! Tu sei un compagno, ma canti per i ricchi, noi invece non abbiamo i biglietti”. Una volta feci un concerto ad Aulla, c’erano fuori trecento ragazzi, sono dovuto uscire da un tetto. Erano anni

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