PROVIAMO A RAGIONARE SUL “GIARDINO DEGLI ANGELI”
Verso la fine di settembre, alcuni consiglieri del Comune di Cagliari hanno presentato una mozione per la realizzazione del “giardino degli angeli”, il cimitero dei bambini non nati. La proposta è superflua e poco originale. Molte delle critiche sono un po’ sfocate. Sarebbe una offesa per le donne e un attacco alla legge sulla interruzione volontaria della gravidanza. Da una parte ci sono i conservatori con poca immaginazione, dall’altra i difensori della legge 194 con molte buone intenzioni. Prolife contro prochoice, si direbbe nel Paese dove l’espressione unborn child (bambino non nato) ha cominciato a diffondersi e a provocare contrapposizioni simili. La mozione è un inutile doppione di un decreto del presidente della Repubblica del 1990, in particolare delle disposizioni per la sepoltura dei nati morti e dei feti tra le 20 e le 28 settimane di età gestazionale. Chi vuole può richiedere la sepoltura anche per quelli sotto le 20 settimane. Ci sono solo due differenze.
La prima è una perifrasi infelice. «Si ritiene che il seppellimento debba di regola avvenire anche in assenza di detta richiesta». La frase è stata poi cancellata nella seconda versione del documento, ma l’Internet non è scritta a matita. La seconda riguarda l’equa distribuzione delle risorse. Il costo sarà a carico del Comune. Perché il Comune dovrebbe pagare la tomba di un feto di 5 mesi e non quelle di un bambino di 5 anni o di un adulto di 50? Il linguaggio è tipico dei prolife. “Bambini non nati”, l’insensata espressione “difendere la vita fin dal concepimento” e la definizione di bambino come “ogni forma intrauterina successiva all’atto del concepimento” (consiglierei un manuale di biologia, bastano le figure di una blastocisti). C’è anche il registro dei bambini non nati.
Insomma nessuna sorpresa. Anche le reazioni sono state abbastanza prevedibili. L’offesa e, in sottofondo, la credenza che l’aborto sia necessariamente doloroso. C’è stata una simile
(RI)PRESENTATE LE DISPOSIZIONI PER LA SEPOLTURA DEI NATI
MORTI E DEI FETI TRA LE 20 E LE 28 SETTIMANE. UNA NORMA C’ERA GIÀ
contrapposizione per il giardino degli angeli a Roma. Una mattina ci sono andata e ho visto un uomo e una donna vicino a una piccola lapide. Non so a che mese si fosse interrotta la gravidanza e non so per quale ragione, ma ricordo di aver pensato che io abolirei i cimiteri in generale e una tomba non mi dà alcuna consolazione, ma se a loro fa bene? Se non è un obbligo e se qualcuno può trovarci un qualche conforto, che male c’è? E perché dovremmo considerarlo un attacco alla possibilità di abortire?
La domanda che dovremmo farci è se danneggia qualcuno. La risposta è no. Certo, ci sono le intenzioni colpevolizzanti e il simbolico, che però sono sempre evanescenti. Certo, il desiderio dei prolife è conferire personalità all’embrione e quindi vietare l’aborto, usando anche la colpa come arma. Ma nessuno può farti sentire in colpa se non ti ci senti già. E poi non basta un cimitero per dimostrare che un organismo sia una persona. C’è chi seppellisce cani, gatti, criceti. Né basta cambiare nome per cambiare la realtà. Chiamare “bambino” un embrione non è sufficiente per vietare l’aborto perché, oltre a dover dimostrare che è sensato usare lo stesso nome per una morula (prima forma dell’embrione, ndr) e per un settenne e inferirne diritti fondamentali, ci sono i diritti delle donne. Chi vuole difendere la moralità dell’aborto volontario e l’accesso a un servizio medico, dovrebbe partire dal diritto di scegliere cosa fare del proprio corpo e non invocare la fragilità femminile e la delicatezza dell’aborto. Smettere di sentirsi in difetto. Rispondere “offendete le donne (che sono sempre e necessariamente sensibili)” è di un intollerabile paternalismo. È la vera vittoria dei prolife, spingere gli interlocutori verso una risposta caratterizzata dalla fallacia del male minore, del dolore e di un silenzioso rimpianto.
Invece che indignazione, questa mozione dovrebbe provocare noia. Ognuno deve poter scegliere – bisognerebbe replicare – e infatti c’è già una legge. Le vostre aggiunte sono ridicole e superflue. Chi vuole celebra un funerale e compra una tomba. Non è, e non dovrebbe essere, una presa di posizione riguardo all’aborto. C’è un ulteriore rischio. Illudersi che criticare i cimiteri degli embrioni e dei feti sia una difesa efficace della 194, che non è una legge perfetta e non è una legge liberale, come a volte viene descritta forse dimenticando l’articolo 1: «lo Stato (…) tutela la vita umana dal suo inizio». Abortire non è un diritto in senso forte, ma una possibilità che nasce da un bilanciamento di diritti. È ancora più chiaro nella sentenza della Corte costituzionale del 1975 che l’ha preceduta. «Non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare». Dal 1978 è possibile interrompere una gravidanza legalmente e senza rischi. E questa è l’unica possibilità non moralmente ripugnante e l’unica risposta da dare ai prolife di tutto il mondo.
IMMEDIATO DUELLO TRA "PROLIFE" E "PROCHOICE". MA QUESTA MOZIONE, PIÙ CHE INDIGNAZIONE, DOVREBBE PROVOCARE NOIA
Chiara Lalli insegna Storia della medicina all’Università Sapienza di Roma.
È giornalista e scrive di filosofia morale e di bioetica. Tra i suoi libri La verità, vi prego, sull’aborto (Fandango, 2013).