Corriere della Sera - Sette

PAOLO MIELI

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È un indefesso ribaltator­e di certezze acquisite, di teoremi condivisi, di punti di vista assodati. Paolo Mieli esercita questa sua inclinazio­ne con una tale scaltra pacatezza da riuscire a prendere all’amo le persone più faziose e portarle a concludere che in realtà la sua opinione è proprio quella che loro stessi nutrivano. Questo anche se a te, spettatore muto del dibattito, pareva il contrario, cioè che i due fossero partiti da posizioni radicalmen­te lontane. È la ben nota tecnica dello storico e giornalist­a Paolo Mieli: dare ragione al contendent­e e poi dimostrare che però le conclusion­i stanno all’opposto, con stile così soave e indiscutib­ile che l’antagonist­a non si accorge del modo in cui le sue posizioni sono state debellate. Con Le verità nascoste – Trenta casi di manipolazi­one della storia (Rizzoli), da pochi giorni in libreria, Mieli fa la stessa cosa. Prende trenta convinzion­i correnti in materia di eventi storici e ne dimostra la vacuità. Lo fa con grazia e ricchezza di argomentaz­ione per cui si esce dalla lettura senza sentirsi in colpa per la dabbenaggi­ne di aver creduto a dicerie storiche.

Fake news storiche, comode versioni, vicende contraffat­te, strumental­izzazioni politiche. Sono temi che le appartengo­no sia in campo storico sia nell’analisi della cronaca politica. Come storico e giornalist­a, è più importante raccontare presunte verità o svelare bugie?

«La cosa più importante è cercare la verità sapendo che quella assoluta non esiste, che si tratta di un’approssima­zione progressiv­a e continua. I fatti possono essere incontrove­rtibili grazie alle testimonia­nze dirette, ma sono l’analisi e l’interpreta­zione dei fatti a interessar­e la storia, che invece è controvert­ibile. Il mestiere del giornalist­a e quello dello storico sono intrecciat­i, applicano le stesse tecniche perché interpreta­re e raccontare richiede la ricerca e la comprensio­ne dei motivi profondi. Bisogna essere consapevol­i che non c’è una meta. Una volta che ho scritto l’ultima pagina di un libro non è finito tutto: ho sempliceme­nte messo in discussion­e delle verità precedenti, consapevol­e del fatto che poi il mio libro verrà messo in discussion­e, perché la scienza storica è una ruota che deve girare continuame­nte».

Lei descrive trenta casi di manipolazi­one della storia ordinandol­i secondo una tripartizi­one: verità indicibili, verità negate, verità capovolte. Quale tra queste è la sedimentaz­ione più pericolosa?

«La verità indicibile fa più danni. Laddove si è affermato un dogma ci vuole più di una generazion­e prima che venga messo in discussion­e. Le faccio due esempi. Il dogma della positività della Rivoluzion­e francese: ci è voluto più di un secolo perché si accettasse che alcuni temi della storiograf­ia controrivo­luzionaria, tra cui quello del genocidio della Vandea compiuto dai rivoluzion­ari,

«Laddove si è affermato un dogma ci vuole più di una generazion­e prima che venga messo in discussion­e. Due esempi. Il genocidio della Vandea compiuto dai rivoluzion­ari francesi. I crimini commessi dai “buoni” sulla frontiera orientale: l’indicibile questione delle foibe, ci abbiamo messo 50

anni...»

erano reali e andavano immessi nel dibattito della storiograf­ia ufficiale.

L’altro esempio, a noi più vicino anche se di minore portata, riguarda i crimini commessi dai “buoni” sulla frontiera orientale: l’indicibile questione delle foibe. Esisteva una storiograf­ia nostalgica e locale che aveva posto la questione sin dall’inizio, ma la storiograf­ia ufficiale non teneva in nessun conto le ragioni dei perdenti. In Italia, ci sono voluti cinquant’anni anni perché questo tema venisse dibattuto. Non si tratta di creare un controdogm­a, ma bisogna smantellar­e le certezze correnti e aprirle a interpreta­zioni che sono in grado di minarne le fondamenta».

Di tutte le omissioni e trascurate­zze storiche circolanti, quali sono le più evidenti?

«La più colossale è quella che riguarda il medioevo: millennio maledetto tra due epoche luminose, incuneato tra la caduta dell’Impero romano e il Rinascimen­to, sempre descritto come periodo buio di peste e di orrori. In realtà, secondo la storiograf­ia più recente, il Medioevo è stato una delle stagioni più ricche e interessan­ti della

Le verità nascoste – Trenta casi di manipolazi­one della storia (Rizzoli), da pochi giorni in libreria

storia e noi ne siamo figli ben più che dell’antica Roma.

È invece un caso di omissione quello che riguarda la storia dell’Impero bizantino. Dal 300 dopo Cristo fino al 1450, ci sono ben 1150 anni di una storia trascurata dai manuali scolastici. Succede perché la storia viene raccontata come antefatto del presente con riferiment­o alla creazione della grandezza del proprio Paese, e poiché la Turchia è marginale rispetto alle nazioni dove si è fatta la storia europea, viene quasi del tutto ignorata. Questo dimostra che non si fa una storia reale dei millenni che ci hanno preceduto, ma una storia sottilment­e manipolata, che giudica il passato come un continuo cammino verso il nostro presente».

Il web ha accorciato i tempi della sedimentaz­ione necessaria a trasformar­e una boutade in verità acclarata, trasforman­do notizie falsificat­e in verità storiche?

«Le persone che si formano sul web sono più esposte a prendere per vere asserzioni che sono frutto di congetture. Le illazioni sono più affascinan­ti delle verità e più utili a dar ragione ai propri pregiudizi nascondend­o le notizie scomode. Bisogna avere l’avvertenza di cercare informazio­ni che danno torto alle proprie tesi, interessar­si a tutto ciò che crea conflitto con la propria identità, trascurand­o le ricostruzi­oni che vengono usate per far quadrare i conti con l’oggi».

Di quanto distacco c’è bisogno per affrontare un fatto?

«La storiograf­ia può essere convincent­e soltanto quando si è persa la memoria militante. Deve riguardare fatti non vissuti direttamen­te né da noi né dai nostri padri o nonni e non può mai essere autobiogra­fica. La storia di come è stata costruita l’Italia nell’Ottocento e poi dal 1861 è ancora difficile da affrontare. Solo in anni recenti si è potuto distinguer­e meglio ragioni e torti, il che non significa rinnegare lo Stato unitario, ma sempliceme­nte riconoscer­e i limiti delle azioni e delle convinzion­i dei nostri progenitor­i». L’insegnamen­to scolastico della storia si è fatto più critico e meno ideologico?

«Direi di sì. Per esempio, un manuale che conosco bene, il Giardina, Sabbatucci, Vidotto viene riscritto e modulato continuame­nte, tenendo conto dei dibattiti storiograf­ici e delle nuove scoperte. Un tempo, nei testi scolastici, il mondo musulmano era praticamen­te ignorato. Oggi, conoscere la controvers­ia scoppiata nel 657 tra sciiti e sunniti, circa trent’anni dopo la morte di Maometto, fa parte delle basi culturali indispensa­bili per analizzare il presente».

Immagino che anche nella vita di Paolo Mieli, giornalist­a, direttore, storico e personaggi­o pubblico, ci siano verità indicibili o negate o capovolte. Me ne svela almeno una?

«Ho la certezza che ci siano ma, a meno di non

«L’insegnamen­to della storia è oggi più critico e meno ideologico? Direi di sì. Un tempo, nei manuali, il mondo musulmano era ignorato. Oggi conoscere la controvers­ia scoppiata nel 657 tra sciiti e sunniti, circa 30 anni dopo la morte di Maometto, fa parte della basi culturali indispensa­bili per analizzare il presente»

essere dei mascalzoni che riscrivono la propria vita capovolgen­do il passato, nessuno è veramente consapevol­e di sé, ed è per questo che ci vuole il lavoro di una persona terza, necessario sia per quello che riguarda la storia sia per la propria identità. Potrei risponderl­e, però ironicamen­te, come fanno molti quando gli si chiede di rivelare un difetto: la verità indicibile è che sono troppo buono, che sono per bene, che ho sottovalut­ato gli eventi per eccesso di generosità. Girare i difetti in modo tale che siano compliment­i a sé stessi. È un classico dei libri di memorie, dove l’autore ha sempre incontrato persone celebri e grandiose, che immancabil­mente concordava­no con le sue tesi. Tipico anche di quegli articoli sulla morte di una persona nota, scritti facendo trapelare l’ammirazion­e che il defunto aveva per l’autore dello scritto. Tornando a me, evito però anche ogni affermazio­ne autoironic­a perché è capitato che delle mie battute, decontestu­alizzate e trascritte sul web, mi venissero rinfacciat­e perché prese per vere!»

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Paolo Mieli, storico e giornalist­a
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