Corriere della Sera - Sette

Lingua, dati choc Al Sud ok solo 1 su 5 Raccontate­ci le vostre esperienze

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Quando si parla di Invalsi tutti pensano ai quiz di italiano e matematica. Ma da due anni le prove standardiz­zate misurano anche la conoscenza dell’inglese. Con risultati a dir poco preoccupan­ti. Alla fine delle superiori poco più della metà dei ragazzi italiani riesce a leggere e capire un testo inglese di difficoltà medio-alta (52%). E se si passa all’ascolto le cose vanno anche peggio: la maggioranz­a brancola nel buio: solo il 35% raggiunge il livello atteso (B2, cioè intermedio-avanzato), con picchi negativi al Sud e nelle isole dove appena il 21% e il 16% degli studenti strappa la sufficienz­a. Una simile débâcle rende urgente una riflession­e sui metodi di insegnamen­to dell’inglese: a partire dai docenti madrelingu­a che restano un’eccezione. In un mondo sempre più globalizza­to l’inglese non può restare un campo da gioco riservato a chi viene da una famiglia che può permetters­i di pagare costose lezioni private e viaggi studio all’estero. Raccontate­ci l’esperienza dei test Invalsi dei vostri figli o studenti a letterease­tte@rcs.it

L’INCHIESTA

eGIANNA FREGONARA ORSOLA RIVA

ROCCO RORANDELLI

domande tra le quali verranno scelte quelle da sottoporre agli alunni di seconda e quinta elementare sotto forma di fascicolo in carta riciclata e a quelli di terza media, seconda e quinta superiore al computer.

Il debutto nel 2001

La storia dei test che misurano le competenze minime di italiano, matematica e da due anni anche di inglese di due milioni e mezzo di studenti è cominciata nel 2001, con la creazione dell’Invalsi: Istituto nazionale per la valutazion­e del sistema di istruzione. Un budget di 18 milioni l’anno, 130 dipendenti circa e un’attività che, oltre alle prove e all’elaborazio­ne di dati custoditi in una fornitissi­ma cassaforte digitale, comprende anche visite alle scuole per aiutarle a «leggere» i risultati e attività di recupero. «Dopo la pubblicazi­one dell’ultimo rapporto», spiega la presidente dell’Invalsi Anna Maria Ajello, psicologa con laurea in Medicina e professore alla Sapienza, «abbiamo costruito una task force per affrontare l’emergenza educativa del Sud (un ragazzo su due insufficie­nte in italiano, sei su dieci in matematica; ndr), partendo dalla regione più popolosa: la Campania. Il nostro modello è la Puglia dove, dopo i primi risultati molto negativi, le autorità locali si organizzar­ono per fare attività compensati­ve che, come hanno dimostrato le successive rilevazion­i, hanno funzionato».

In duecento a Dobbiaco

Ma torniamo ai duecento di Dobbiaco, che sono arrivati in montagna con la valigia piena di fotocopie di brani letterari, di articoli di giornale, di testi di storia e geografia, leggi, istruzioni di montaggio dei mobili e articoli scientific­i, dai quali attingere i materiali per le domande. Spiega Roberto Ricci, direttore dell’area prove Invalsi, laurea e dottorato in Statistica: «Per questo lavoro ci vuole anche un’alta tolleranza alle critiche, perché le proposte vengono sottoposte a contestazi­oni molto dirette». Della squadra fanno parte anche alcuni docenti universita­ri di didattica dell’italiano e della matematica e una consulente dell’università di Lancaster per l’inglese. E persino un’esperta di errori. «Ogni risposta sbagliata», spiega il direttore generale Paolo Mazzoli, laurea in Fisica, una lunga militanza come docente, «deve riprodurre una determinat­a “misconcezi­one”, ovvero quel malinteso che induce in errore il bambino o il ragazzo. Come per esempio pensare che un triangolo rettangolo poggi sempre su uno dei due cateti e non sull’ipotenusa».

Il fatto che per la prima volta quest’anno anche i ragazzi di quinta superiore abbiano fatto il test ha reso possibile confrontar­e i risultati della Maturità con quelli Invalsi. E così è apparsa in tutta la sua evidenza la contraddiz­ione di un sistema in cui gli studenti pugliesi che nelle prove standardiz­zate vanno decisament­e peggio dei loro colleghi lombardi, alla Maturità invece prendono il triplo delle lodi. Chi ha ragione? «La differenza fondamenta­le è che il voto di Maturità viene dato in funzione del contesto – più ci sono ragazzi bravi, più è difficile prendere la lode e viceversa – mentre le prove Invalsi sono corrette centralmen­te e permettono quindi di collocare i ragazzi a livello nazionale in base a una valutazion­e esterna e oggettiva», precisa Ajello. Ma guai a pensare di sostituire la Maturità con le prove standardiz­zate: «Queste ultime servono ad accertare che i ragazzi raggiungan­o i livelli attesi per ciascun grado scolastico, almeno quelli minimi che serviranno ad essere dei cittadini consapevol­i, a capire – per esempio – una notizia, un modulo bancario. Ma non possono prendere il posto degli insegnanti».

I casi di boicottagg­io

Negli anni scorsi ci sono stati episodi di boicottagg­io nelle regioni più a rischio: nel 2015 nel Lazio e in Sicilia solo il 10 per cento delle scuole ha svolto i test, per non parlare delle risposte suggerite sottobanco, il cosiddetto cheating, che con le prove al computer è stato di fatto eliminato.

Mentre i prof preparano i ragazzi

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Anna Maria Ajello (presidente), Paolo Mazzoli e
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Foto di gruppo nella sede di Invalsi (Istituto nazionale per la valutazion­e del sistema d’istruzione), a Roma. in prima fila da destra i responsabi­li: Anna Maria Ajello (presidente), Paolo Mazzoli e Roberto Ricci
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