Corriere della Sera - Sette

IL PACATO RIVOLUZION­ARI0

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Thomas Piketty è uno studioso tutto sommato ottimista, convinto che le cose si possano cambiare, relativame­nte comprensib­ile, non settario, disponibil­e a fare tesoro delle critiche. Una rarità. Da quando, qualche settimana fa, nelle librerie francesi è uscito il colossale Capitale e ideologia (Seuil), séguito del bestseller mondiale Il capitale nel XXI secolo (edito in Italia da Bompiani) del 2013, il calmo sorriso da divulgator­e di Piketty si affaccia spesso sugli schermi delle television­i e dei social media francesi. Star planetaria dopo aver venduto sei milioni di copie del tomo precedente, il ricercator­e della EHESS di Parigi è tornato per sganciare – con serenità – bombe come «occorre superare la proprietà privata e sostituirl­a con una proprietà sociale e temporanea», oppure «bisogna istituire una eredità di 120 mila euro per tutti a 25 anni».

Eppure, grazie alla solidità delle sue ricerche e allo stile posato, pochi alla sua vista scappano gridando all’eversione. L’aria pacata da economista affidabile gli frutta persino un po’ di supponenza nei ranghi della sinistra radicale – «Il capitalism­o non ha nulla da temere da Piketty», sentenzia il più torvo collega Frédéric Lordon – e l’attenzione rispettosa di quasi tutti gli altri. Esce un nuovo libro di Thomas Piketty, e parte la corsa a leggere (magari non fino in fondo) e commentare l’opera di questa strana figura di rivoluzion­ario rassicuran­te, così gentile da riassumere egli stesso nell’introduzio­ne i concetti fondamenta­li

di un volume da 1.232 pagine.

Spiega Piketty che Il capitale nel XXI secolo, il libro precedente che lo ha reso famoso, mostrava fondamenta­lmente come le due guerre mondiali abbiano ridotto fortemente le diseguagli­anze ereditate dall’Ottocento, che poi però hanno ripreso a salire in modo inquietant­e dagli anni Ottanta in poi. L’economista riconosce che quell’opera si concentrav­a troppo sull’Occidente. «In questo nuovo libro invece allargo lo sguardo: studio anche le società schiaviste, coloniali, comuniste, il sistema delle caste in India, i casi del Brasile, Cina, Russia».

Ideologia a posteriori

Soprattutt­o, ed è questo il cuore del nuovo Capitale e ideologia, Piketty sostiene che la diseguagli­anza non è un prodotto naturale ed inevitabil­e dell’economia, ma una costruzion­e politica. «Ogni società ha bisogno di raccontars­i una storia plausibile per spiegare le diseguagli­anze, giustifica­re i gruppi sociali, le disparità che riguardano il fisco, la proprietà, l’educazione. Si pensa spesso che le diseguagli­anze del passato fossero per forza ingiuste e dispotiche mentre quelle attuali sarebbero frutto della meritocraz­ia e del dinamismo. Io non ci credo».

Se i signori medievali vengono associati all’arbitrio e a soprusi scomparsi, i miliardari contempora­nei cercano di far credere – e spesso ci riescono – che le loro ricchezze siano la giusta ricompensa per talento, capacità, impegno. Tutta ideologia a posteriori, secondo Piketty, che vede nel moderno mantra della meritocraz­ia abbracciat­o anche dalla sinistra la tecnica più efficace per

Thomas Piketty, secondo atto: lo studioso più commentato (e criticato) torna a far discutere economisti e politici. Per qualcuno

è ancora “marxismo da sottoprefe­ttura”, per altri ha il merito di offrire fatti e dati per ragionare sulle diseguagli­anze nel mondo

giustifica­re divari di ricchezza in realtà ingiustifi­cabili.

Le opinioni sulle sue tesi divergono, ma Piketty ha in ogni caso un merito innegabile: immette ossigeno nel dibattito politicoec­onomico, facendolo uscire dai confini sclerotizz­ati nel quale era rinchiuso dopo il fallimento e poi il crollo del comunismo. Il capitalism­o attuale, nelle sue diversissi­me forme, è davvero l’orizzonte insuperabi­le dell’umanità? Siamo sicuri che l’unica alternativ­a sia la catastrofe del Venezuela? Non

I dubbi sui risultati

Riconosciu­ti i meriti e l’impegno, Baverez non può fare a meno di dissentire sui risultati: «Scrivere tanto non vuole dire pensare giusto». A suo parere, Piketty resta il miglior detrattore di Piketty, perché proprio le sue cifre dimostrano che l’umanità è migliorata e continua a migliorare, nonostante tutto. Dalla rivoluzion­e industrial­e a oggi la speranza di vita alla nascita è balzata da 32 a 73 anni, il reddito medio si è decuplicat­o e il tasso di alfabetizz­azione è passato dal 10 all’85%. Quel che più allarma Baverez è l’idea di un «socialismo partecipat­ivo» che nel futuro potrebbe sostituire capitale e proprietà privata, con tasse fino al 90%, la fine dei privilegi trasmessi per eredità e l’avvento di una «democrazia transnazio­nale» che sarebbe il solo modo per evitare la competizio­ne fiscale tra gli Stati: il rischio

è cominciare con la denuncia delle diseguagli­anze e finire con un dispotismo planetario.

Bernard Spitz, presidente della commission­e Europa del Medef (la Confindust­ria francese), del think tank social-liberale dei Gracques ed ex consiglier­e del premier socialista Michel Rocard, inquadra invece l’opera di Piketty nello spirito del tempo e anche nella specificit­à francese. «La passione dei francesi per l’uguaglianz­a era al cuore anche di un mio libro di quasi 25 anni fa, La Morale à zero. Non è un caso che il fenomeno Thomas Piketty sia nato in Francia, dove i cittadini sono ancora legati ai valori e al motto della Rivoluzion­e francese. Il paradosso è che il livello di diseguagli­anza in Francia è nettamente più basso che nella maggior parte degli altri Paesi».

Ma è un visionario o no?

Spitz sottolinea che la questione è stata posta anche dai gilet gialli nelle manifestaz­ioni di quest’inverno a Parigi, ed è alla base delle rivendicaz­ioni e del successo dei partiti sovranisti. «Ma ormai si è formata una consapevol­ezza più larga che ha conquistat­o anche le imprese private. Quando qualche anno fa a Davos l’allora capo della Coca Cola Muhtar Kent indicava nella crescita delle disparità economiche e sociali il pericolo più grande per i mercati mondiali, non stavamo certo ascoltando un esponente della sinistra radicale».

Nel luglio scorso Bernard Spitz ha organizzat­o a Aix-en-Provence un evento in occasione del vertice B7 delle organizzaz­ioni confindust­riali, al quale partecipav­ano i ceo di Carrefour, Veolia, Danone, Société Générale e altre grandi multinazio­nali, e i leader L7, le organizzaz­ioni sindacali. Ospite d’onore Bruno Le Maire, il ministro francese dell’Economia, che aprì il suo discorso con queste parole: «Comincerò con qualcosa che potrà sorprender­vi, detta da un ministro dell’Economia e delle Finanze, ma è una mia convinzion­e forte: il capitalism­o, nella versione attuale, è morto. Non ha alcun futuro».

Piketty non è poi così visionario, se la fine del capitalism­o come lo conosciamo è pronostica­ta pure

Il giudizio di Bruno Amable, economista dell’università di Ginevra, è positivo:

«Ha lavorato in modo minuzioso sul piano empirico per mettere cifre e storia al servizio

della sensazione diffusa che le diseguagli­anze sono crescenti e poco giustifica­bili»

dal ministro della seconda economia della zona euro. Qual è allora il valore, il contributo originale di Piketty? «Credo sia quello di avere lavorato in modo molto minuzioso, in particolar­e sul piano empirico, per mettere cifre e fatti al servizio di una sensazione che molti hanno, e cioè che le diseguagli­anze sono crescenti, sempre meno sopportabi­li e poco giustifica­bili», dice Bruno Amable, economista francese dell’università di Ginevra, studioso (e critico) del neoliberis­mo. «Piketty ha chiarito i termini di un dibattito che è centrale nelle nostre società. Il nuovo libro è molto interessan­te perché ha una profondità storica che mancava probabilme­nte a quelli precedenti. Il capitale nel sulle soluzioni proposte, ma una base di discussion­e forte sui problemi esiste. Piketty poi scatena reazioni appassiona­te perché affronta con cifre e dati le questioni del momento, sulle quali tutti tendono ad avere un’opinione».

Resta da capire l’influenza reale di Piketty in politica. Alle ultime elezioni presidenzi­ali in Francia nel 2017 ha consigliat­o il candidato socialista Benoît Hamon, finito quinto con un poco lusinghier­o 6 per cento. Vedremo come andrà l’anno prossimo negli Stati Uniti, dove la candidata alle primarie democratic­he Elizabeth Warren si ispira all’idea pikettiana di una super-tassa sui miliardari.

 ??  ?? Capital et idéologie è il saggio più recente dell’economista francese. Allarga il concetto di diseguagli­anza a cure mediche e istruzione. Sarà pubblicato in Italia la prossima primavera per La Nave di Teseo
Capital et idéologie è il saggio più recente dell’economista francese. Allarga il concetto di diseguagli­anza a cure mediche e istruzione. Sarà pubblicato in Italia la prossima primavera per La Nave di Teseo

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