LA RAGAZZA CHE AMAVA DAVID
Porte sbarrate, luci basse. È lunedì, il David si riposa. Per un giorno si ferma l’assedio degli oltre 1,7 milioni di visitatori che, ogni anno, arrivano da 100 Paesi alla Galleria dell’Accademia di Firenze, per ammirarlo. Il silenzio è surreale. Attorno al Gigante da 5,57 tonnellate, che il genio di Michelangelo creò poco più che venticinquenne, ci sono solo gli occhi vigili di due responsabili del ministero dei Beni culturali. Oggi non è solo il momento del relax, ma anche quello delle cure mediche. La dottoressa si chiama Eleonora Pucci, il funzionario restauratore che ogni due mesi si arrampica sul ponteggio mobile che la porta fino a 6,83 metri. A tu per tu con il David, in esclusiva per 7.
I pennelli morbidi
Eleonora si prende cura della scultura più celebre (e celebrata) del Rinascimento: la “visita” centimetro per centimetro. Durante la salita, a turno, sfodera dal suo astuccio pennelli morbidissimi o l’aspiratore creato ad hoc per ripulire la superficie di marmo e aspirare ogni minuscolo frammento che possa nuocere al David. Eleonora ha 35 anni, è fiorentina, si è formata all’Opificio delle Pietre dure, uno degli istituti di restauro più prestigiosi al mondo. E dopo un lungo girovagare per l’Italia, un giorno, si è ritrovata catapultata nella sua città, ai piedi del Gigante. Un sogno, dopo tantissimi sacrifici. Serve testa, ma soprattutto cuore, per fare bene questo lavoro. Lo si capisce quando Eleonora sale l’ultimo gradino e si ritrova vis a vis con il David. Gli occhi color ghiaccio della restauratrice quasi si fondono con quelli, a forma di cuore, scolpiti dal Buonarroti. Il volto è la zona più delicata da curare. Eleonora
Eleonora Pucci ogni due mesi si arrampica sul ponteggio che la porta a 6,83 metri di altezza dove può guardare negli occhi il capolavoro di Michelangelo: «È più fragile di un essere
umano in carne e ossa»
usa uno dei pennelli più piccoli. Lassù, da soli, le gambe quasi tremano davanti a cotanta bellezza. Una sensazione a cui lei non si è minimamente assuefatta. Tanto che, quando racconta cosa prova, quegli occhi color ghiaccio si velano di commozione: «Il David ha 515 anni. È un’opera assolutamente delicata, più di un uomo in carne ed ossa. E io tengo più alla sua cura che a quella di me stessa», racconta la restauratrice «Non so se riesco a spiegare l’emozione provata nell’attesa di salire per la prima volta su questo ponteggio, che permette di trovarsi a tu per tu con lui, in un museo chiuso, nel silenzio più totale. È una scarica di adrenalina che provo ancora tutte le volte, e che mi ricorda il motivo per cui ho scelto di fare questo lavoro, nonostante tutti i sacrifici che comporta».
Il pericolo nell’aria
Quella per la tutela del David è una battaglia che si combatte in punta di pennello. Sistemi più invasivi, in passato, hanno creato più problemi che altro. Il “nemico” arriva da fuori, importato dal fortissimo afflusso di visitatori. Le impurità nell’aria non fanno bene al David, nato da un blocco «male abbozzatum et sculptum», definizione coniata nel Cinquecento per sottolineare la scarsa qualità del marmo, con troppe venature e fragilità. I taroli, che fecero arrendere altri artisti davanti all’impresa, ma non Michelangelo. «Controlliamo ogni minima fessurazione», racconta ancora Eleonora Pucci «Sono piccole operazioni, molto delicate, che consentono a tanti capolavori di continuare ad essere ammirati. Perché l’arte deve essere fruibile da tutti, per sempre. È questo uno dei motivi per cui ho scelto di fare la restauratrice: oltre
a comprendere la bellezza delle opere e le capacità di chi le ha realizzate, volevo dare il mio contributo per permettere che questi tesori possano essere tramandati di generazione in generazione».
Nella leggenda
Se in cima al ponteggio c’è la donna che guarda il David negli occhi, lungo la Galleria dei Prigioni, navata che conduce al David, c’è Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani ed uno dei massimi studiosi di Michelangelo al mondo: «Stando qui si entra come in un campo di forza», racconta il professore «È questa l’impressione che si rinnova oggi, con la stessa intensità che provai tantissimo tempo fa. Avevo 13 anni, ero in gita scolastica, e mi ricordo l’emozione che mi fece questa figura di eroe di uomo nudo, grande cinque volte il vero. Poi mi spiegarono che era il David della Bibbia, quello che un colpo di fionda uccise il gigante Golia. Faceva impressione per la sua maestà e le sue dimensioni. Fu la stessa emozione che provarono i fiorentini nel 1504, quando il David fu svelato sull’arengario di Palazzo Vecchio: né a Firenze, né in Europa si era mai visto un uomo nudo di queste dimensioni. Era come tornare ai tempi degli antichi greci. Anzi, dirà Giorgio Vasari, che è lo storico del Rinascimento, con questa opera Michelangelo ha superato gli antichi: non ci sono più Fidia, né Policleto. E la museografia ottocentesca ha, come dire, divinizzato questa scultura, collocandola come se fosse il Santissimo Sacramento in una chiesa cattolica. Dietro al David c’è infatti un’abside, sopra c’è una cupola vetrata e la luce zenitale arriva su quest’opera e veramente si ha come un’impressione di santificazione e divinizzazione». E poi, conclude Paolucci: «Stupisce, al cospetto di questo capolavoro, il fatto che il Buonarroti fosse ancora un ragazzo, anche se aveva già scolpito la Pietà nella basilica di San Pietro e si preparava ad affrescare la Cappella Sistina. Ma lui era di Firenze e voleva regalare alla sua città l’emblema del suo Genio fiorentino».
Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani e studioso: «Lo vidi per la prima volta che avevo 13 anni. Secondo Vasari con questa opera Michelangelo ha superato gli antichi, non ci sono più Fidia né Policleto»
Un’asta impossibile
Dare un valore economico al David? «È impossibile», risponde Eike Schmidt, direttore degli Uffizi e responsabile pro tempore dell’Accademia «L’unico modo per quantificarlo sarebbe metterlo all’asta. Che ovviamente (sorride, ndr) non ci sarà mai».