La fiamma di Cohen? È nel frigo, vicino alla tequila
Mi bacchetta giustamente Andrea, via mail: non si scrive «beautiful looser» ma «beautiful loser». provo a rimediare con una poesia tratta da Fiamma (Bompiani), raccolta di poesie, testi e autoritratti di uno splendido perdente: Leonard Cohen (Montreal, 1934 - Los Angeles, 2016). Quasi come i blues poesia poi divenuta canzone, Almost like the blues, come spesso accade in Cohen (in musica torna la «o» che per pudore ebraico Cohen aveva sostituito con il trattino, scrivendo G-d al posto di God, cioè Dio che in italiano diventa D-o, quasi come l’accordo). Per Cohen scrivere era la ragione di vita. Ha pubblicato molti libri, scritto un mare di versi, e la bellezza delle melodie doveva sempre fare i conti con quella delle parole. Cercava una voce propria, prima e oltre la musica, sulle orme di García Lorca, il suo modello: non lamentarti della vita in modo superficiale, ma esprimi la grande, inevitabile sconfitta che attende tutti, entro i rigidi confini della dignità e della bellezza. Lo ricordava nel discorso per il premio Principe delle Asturie nel 2011 (pubblicato in coda al libro), dove svela il segreto delle sue canzoni: tre lezioni di flamenco prese da un misterioso e sfortunato chitarrista apparso al parco vicino casa di sua madre. La prefazione di Adam, il figlio, regala un ritratto domestico dell’artista come padre: a volte gli diceva di prendere soldi da una giacca, o un cassetto, o la tequila dal frigo, dove trovava quadernetti, appunti, poesie.