Quel reality che racconta il nostro bisogno di matrimonio
Mia figlia ha quasi due anni e, fra gli infiniti effetti collaterali che ha portato nella mia vita, ci sono i colpi che da quando è nata perdo su tutto quello che di nuovo arriva al cinema, in libreria, in Parlamento, lontano dallo studio della pediatra, dal nido e dai giardinetti.
Fatto sta che un paio di settimane fa, scanalando prima di addormentarmi (cioè verso le nove: ecco un altro effetto collaterale), capito su Real Time e con imperdonabile ritardo scopro Matrimonio a prima vista, il reality dove tre coppie si conoscono nel giorno del loro matrimonio, celebrato ufficialmente, e dopo il viaggio di nozze vivono per cinque settimane nella stessa casa.
Il programma è un format danese, Married at first sight, va in onda anche in Australia, negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Italia è alla quarta edizione che terminava proprio la sera in cui mi ci sono imbattuta io. E nell’ultima puntata i sei concorrenti sono chiamati a decidere se continuare a rimanere insieme, a telecamere spente, o divorziare, e devono discutere la loro scelta con tre esperti, il sociologo, lo psicologo e la sessuologa che hanno contribuito a studiare i vari profili e a stabilire i possibili accoppiamenti.
Ma ho scoperto che il programma è ormai di culto, e quindi saprete già tutto: come saprete che dalla prima edizione solo una coppia continua a sopravvivere, e si è perfino risposata in Chiesa, e che in quest’ultima puntata due coppie su tre non hanno neanche voluto aprire il dibattito con gli esperti. La convinzione delle ragazze, tali Ambra e Federica, era assoluta: non mi sono mai sentita moglie, diceva una, per me è solo un amico, diceva l’altra, quando è partita la marcia nuziale e l’ho visto mi è presa subito malissimo e alzarsi ogni mattina con qualcuno che proprio non ti piace è un supplizio, non dicevano ma lasciavano intendere tutte e due.
Su un punto, però, donne e uomini delle tre coppie erano perfettamente allineati: qual è stato il momento più bello del vostro percorso? Chiedevano gli esperti. E la risposta era sempre la stessa: il momento del matrimonio. Come a dire che anche se non conosci chi stai per sposare, anche se capisci immediatamente che non è il tuo tipo, quella musica che sale e quei vestiti e il riso e gli amici tuoi e gli amici suoi e le famiglie e la torta e bacio bacio bacio hanno il loro misterioso, potentissimo perché.
Tutto bene, tutto comprensibile e molto divertente da vedere, per carità.
Se non fosse che in Danimarca, negli Stati Uniti e in Inghilterra il matrimonio è un’istituzione che si è dimostrata capace di andare incontro alla società.
Mentre non capisco come sia possibile che qui non sia ancora permesso agli omosessuali, ma allo stesso tempo ci si possa allegramente cazzeggiare.
Mi piacerebbe sapere il parere degli esperti.
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