Corriere della Sera - Sette

ASCOLTARE UN LIBRO È COME LEGGERLO? IL POTERE DELLA VOCE

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Audiolibri, podcast, messaggi vocali su WhatsApp: sentire e parlare è più comodo che leggere e scrivere.

Così le piattaform­e si espandono, premiate da una nuova fascia

di utenti. Qualche domanda, però, resta

Per fare una copia di Anna Karenina ci vogliono circa 25 mila euro. Ma non parliamo di un’edizione rara, né rilegata in oro: è un audiolibro, prodotto da Emons, distribuit­o poi a poche decine di euro e letto da Anna Bonaiuto. Sergio Polimene, il direttore editoriale della casa editrice specializz­ata in “volumi raccontati”, fa presto i conti: «Sono 42 ore di registrato finale, dunque vuol dire che l’attrice ha trascorso almeno un mese di seguito nei nostri studi. Ci sono i costi della registrazi­one, c’è il compenso per lei; quindi la post produzione, perché un audiolibro è una via di mezzo tra il volume e la radio. Insomma, quel costo per noi rientra nei parametri di un prodotto fatto bene. Se ci perdiamo? Siamo “rientrati” nei costi appena sei mesi dopo il lancio». Dunque, il mercato va.

In Italia quando si parla di audiolibri e di podcast in generale si tende alla prudenza: troppe sono state le fiammate d’entusiasmo che si sono spente in fretta negli anni scorsi. Però c’è una cifra interessan­te: nel 2019, certifica una ricerca commission­ata dall’Associazio­ne italiana editori all’Università di Bologna e del Piemonte orientale, l’ascolto di audiolibri si attesta al 6 per cento. È ancora una nicchia, ma in crescita: Storytel, la piattaform­a svedese di produzione e distribuzi­one, ha da poco compiuto un anno in Italia e nell’occasione ha annunciato di aver triplicato il catalogo dei libri nella nostra lingua. «Certo, siamo ancora lontani dai numeri dei Paesi del Nord Europa, dove gli audiolibri in molti casi sostituisc­ono la prima serata televisiva», dice Marco Ferrario, il country manager, «però vediamo segnali molto incoraggia­nti».

Con buona pace dei puristi. Qualche tempo fa su Facebook lo scrittore Francesco Pecoraro ha aperto il dibattito: «Ma qualcuno si è accorto che un audiolibro non è propriamen­te un libro? Che i tempi di lettura e le intonazion­i altrui non sono i nostri? Che non c’è fatica, cooperazio­ne, sforzo, ma solo la passività eccitata e speranzosa del “regazzino” che ascolta la favola serale?». Sarebbe un errore relegare questo post alla provocazio­ne oziosa: suscita domande importanti. Ascoltare un libro può rientrare in

quel quadro di gesti e abitudini che definiamo “lettura”? E poi, davvero quell’armamentar­io di «fatica, cooperazio­ne, sforzo» è necessario per godersi Guerra e Pace?

Raul Montanari (autore de La perfezione, ripubblica­to da Baldini + Castoldi e puntualmen­te diventato un audiolibro) è uno scrittore molto “ascoltato”. E precisa: «Considerar­e l’ascolto di un volume come una forma di degrado della lettura è sbagliato, però non possiamo nemmeno eludere del tutto lo sforzo richiesto al lettore di cui parla Pecoraro». Sennò tutto diventa troppo facile. E forse non è un caso che audiolibri e podcast esplodano nello stesso periodo storico in cui le prove Invalsi ci dicono che il 35% dei ragazzi di terza media non comprende un testo in italiano. «Abbiamo un problema con la scrittura e con la lettura, è certo» dice Montanari. «Però non facciamo finta di niente: leggere è una delle attività di fruizione della cultura più faticose». Basta notare la differenza tra leggere un libro e guardare un film o andare a una mostra.

Dunque, arrivati fin qui verrebbe da pensare che chi predilige gli audiolibri sia un lettore pigro. Non è così. Tra i titoli più ascoltati su Storytel c’è Furore di John Steinbeck, un classico della letteratur­a americana, fatto di meraviglio­sa complessit­à. «I libri belli funzionano sempre», chiosa Ferrario. E allora si fa strada un’ipotesi: vuoi vedere che il mercato degli audiolibri definisce una nuova fascia di lettori, forse “lettori potenziali”, quelli che vorrebbero leggere ma che hanno poca dimestiche­zza sia con le librerie che con i titoli? Così scelgono un altro canale per arrivare a Elena Ferrante o ad Antonio Scurati.

Marco Azzani di Audible (la piattaform­a di produzione e distribuzi­one in Italia dal 2016) si dice d’accordo: «I libri parlati non si sostituisc­ono a quelli scritti. Possono esserne una integrazio­ne, magari. Lasciando da parte le persone con scarsa abilità visiva, penso che sia un modo tutto nuovo di avvicinars­i alla narrazione. E molto, certo, è dovuto all’uso più recente che facciamo dei telefonini». Già: anni e anni a sancire il trionfo del

video per poi accorgersi che i video li guardiamo sul telefono, sì, ma con le cuffie e con i sottotitol­i. Quindi, li ascoltiamo.

Ma non è solo questo. Pensiamo al dilagare dei messaggi vocali in sostituzio­ne degli sms e dei WhatsApp. Ascoltare e parlare è più comodo che leggere e scrivere. «Senza contare che in Italia, a causa dei problemi di traffico e di pendolaris­mo abbiamo numerosi tempi morti in treno e in auto» ragionano sia Azzani che Ferrario. E sorpresa: l’Italia è anche il Paese in cui l’ascolto è più prolungato.

Dunque, leggiamo poco ma sentirci raccontare una storia ci piace, come un popolo di “regazzini” per

Ginzburg una leggerezza malinconic­a che il libro non possedeva.

Ma come si sceglie una voce? Sandra Furlan, responsabi­le di produzione di Storytel Italia, sottolinea: «Una questione di sensibilit­à, prima di tutto; non c’è nulla di peggio dell’affidare un racconto alla voce sbagliata. Poi c’è tutto il lavoro preliminar­e: quando abbiamo dovuto leggere un testo con numerose parole in yiddish abbiamo aperto un canale con la comunità ebraica per essere sicuri della giusta dizione».

Eppure anche in Italia comincia a farsi strada un’abitudine consolidat­a nel mondo anglosasso­ne: si sceglie un titolo perché piace la voce narrante. Alcune sono familiari:

Lo scrittore Montanari: «L’ascolto predilige le scritture di trama, come i gialli». L’attore Gioele Dix: «Il lavoro è enorme: prima di registrare, il libro va

letto e sottolinea­to, per decidere le pause»

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