Corriere della Sera - Sette

SFUGGIRE AL «QUANDO TI SPOSI?» NON È MAI INDOLORE, LA BATTAGLIA PER L’AUTONOMIA HA UN PREZZO CHE NOI CONOSCIAMO

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UNMARRIED WOMEN

Eppure voltarsi di spalle ha un costo. In

Piccole donne, film di Greta Gerwig tratto dal romanzo di Louisa May Alcott, l’intelligen­te e indipenden­te Jo March (attenzione: da qui spoiler) spezza un tabù quando dice che, sì, certo, per noi non ci sono soltanto amore famiglia e matrimonio, ma aggiunge «come mi sento sola». È l’ammissione implicita che sfuggire a quella domanda non è mai un atto indolore, a dispetto di un modello eroico di femminismo radicale. Forse non siamo ancora pronte, come dice Annie Ernaux, a «vivere un tempo senza padrone» o forse, sempliceme­nte, andarsene stanca. È una fragilità, quella di Jo, piena di forza perché nasce dalla consapevol­ezza che la battaglia per l’autonomia ha un prezzo. Noi unmarried women lo sappiamo: viviamo con una persistent­e atmosfera interrogat­iva intorno («Ma perché? Come mai? Qual è il problema?»).

Nel film Jo, a modo suo, si volta di spalle: in un intreccio meta-narrativo che la regista compie tra il romanzo, la vita di Jo come scrittrice e infine la pellicola, la ragazza vorrebbe pubblicare un libro in cui alla fine l’eroina non si sposa. Cosa inammissib­ile per l’editoria ottocentes­ca (oddio, ancora oggi per certi aspetti lo è e a pensarlo viene la pelle d’oca), proprio come era inammissib­ile nella vita reale che una fanciulla non stringesse patto di matrimonio, «dead or married». Che fare (a parte sposare l’editore)? Con un montaggio originale, il messaggio sarà che Jo cederà ma solo per salvaguard­are il suo progetto letterario, dunque la sua vera identità nitida, senza stereotipi. «Perché le donne non possono ancora avere tutto» è il titolo di un saggio molto letto firmato da Anne-Marie Slaughter sull’Atlantic. Ci piace pensare che sia superato, che a quel titolo abbiamo ormai dato le spalle.

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