La strategia del gatto di Giulio Malgara
racconta l’ex potente presidente (per 23 anni) della Utenti Pubblicità Associati ed ex fondatore e presidente (per 32 anni!) dell’Auditel: «Non me ne pento: non facevano male e non erano nemmeno così nauseanti! Il mio imperativo categorico in quel momento era vendere, non un prodotto ma un progetto di business, e davanti a me avevo una platea di gente assai scettica, prevenuta. L’unico modo per scuoterla e portarla dalla mia parte era scioccarla. Per questo presi quella fatale scatoletta, la aprii e con il cucchiaio ne mangiai il contenuto davanti a tutti: volevo, come si dice, metterci la faccia, anzi la bocca».
E non si trattava neppure delle scatolette di oggi che, per accontentare i palati di animali da compagnia sempre più esigenti, vengono presentate come alla prova dello chef: «Straccetti in Gelatina Selezione Delicata», «Selezioni in Salsa con Gustoso Agnello e Pollo», «Pranzetti con pesce bianco il salmone», «Ghiottonerie» di ogni genere fino ai «Felix Sensations Crunchy Varietà Rustica Di Carne».
Tutti prodotti via via migliorati nei decenni, a leggere il libro Uno spot ci salverà che l’ottantaduenne manager ha scritto col direttore di
Economy Sergio Luciano, anche per merito suo. Tra i primi a capire come fossero in evoluzione, insieme con la gastronomia italiana, anche i gusti dei felini: «Il cane ha una fame atavica, mangia con lo stomaco. Il gatto sceglie, mangia con il palato. Abbiamo fatto studi approfonditi, per capirlo e tarare al meglio i prodotti. Avevo un gattile di 300 gatti e un canile di 25 cani. Più gatti che cani per via dei gusti più difficili dei felini. Il gatto, per la sua padrona, è l’amante. Il cane è il marito. Al marito dai quel che hai in frigo, all’amante prepari la cenetta. Così anche nel pet food: il gatto devi coccolarlo, se no va a mangiare altrove».
Fu così ad esempio, racconta, che a un certo punto cominciò a frequentare i giardinetti pubblici. Andava al parco Sempione: «Mettevo una delle mie scatolette vicino a un albero e due della concorrenza vicino a un altro. Stavo a guardare dove andavano i gatti, e mai nessuno andava dalla mia. Lì ho capito che quel mercato era più difficile di quanto immaginassi. Ma è da queste analisi che nacque la fortuna del mio prodotto, perché mi accorsi che, migliorandone la qualità, il gusto, la palatabilità, le preferenze degli animali erano talmente nette che i padroni li accontentavano».
Per il lancio si inventò uno slogan in rime baciate. «Nacque così “FidoGatto, ogni gatto ne va matto!”». Dopo un mese sulle reti Rai, «la Sipra mi comunicò che lo spot era stato bloccato. Scoprii che la pubblicità del pet food era, in quel momento, vietata in Italia insieme a quella di altre cinque categorie: le automobili, perché la Fiat non voleva che altre marche potessero rafforzarsi; le sigarette, sia perché nocive sia – e forse soprattutto – perché c’erano ancora quelle del monopolio da difendere; i pannoloni, perché erano disgustosi; i deodoranti, per la stessa ragione; infine i cibi per animali, perché si considerava un’offesa per i bam
C’è chi per amore si è buttato con l’elastico da un grattacielo. Chi ha scalato una vetta himalayana. Chi ha raggiunto a piedi un’oasi estrema del Sahara. Giulio Malgara andò più in là. Per amore dell’azienda per cui lavorava, si spinse a mangiar davanti a tutti una scatoletta di bocconcini per gatti. «Giuro che non mi ha disgustato. Potendo evitare, avrei evitato, ma non potevo: e l’ho mangiato!»,
«IL CANE HA UNA FAME ATAVICA, MANGIA CON LO STOMACO. IL FELINO MANGIA CON IL PALATO. ABBIAMO FATTO STUDI SERI»
bini dell’Africa mostrare sulla tv di Stato che i cani e i gatti mangiavano cibi prelibati e i bambini no».
Per cambiare la legge, ottenne un appuntamento con Amintore Fanfani. Il quale sbuffò: «Da sempre i cani e gatti mangiano avanzi ed è giusto così». Un confronto, fa ridere raccontarlo, accesissimo. Alla fine l’ebbe vinta lui. Cosa che, ai vecchi tempi, gli accadeva spesso. Non sempre, però. Per due volte, ricorda, fu candidato alla presidenza della Rai. La prima dal suo amicone Silvio Berlusconi, il quale dopo aver vinto le elezioni nel 1994 giurando in campagna elettorale che mai e poi mai avrebbe interferito con l’azienda pubblica («Alla Rai non sposterò neppure una pianta») se ne uscì una sera a cena dicendo: «Domani nomino Malgara presidente della Rai». Idea istantaneamente impiombata dalla sinistra ma, secondo l’ex presidente Auditel, anche da ambienti Mediaset («Avevo in qualche modo sotto la mia influenza i principali 38 investitori del mercato») che temevano contraccolpi negli affari «di bottega». La seconda volta, scrive, la presidenza Rai gli fu offerta da un altro amico, Angelo Rovati: «Senti, Giulio, ma tu lo faresti il presidente della Rai? Perché te lo potrebbe offrire Prodi! Però insieme a te come direttore generale deve venire Antonello Perricone e nel team ci deve essere Giancarlo Leone. Chiama Berlusconi. Se ti dà l’ok è fatta!» Macché, gli andò buca di nuovo. Come gli sarebbe andata buca, anni dopo, nel 2011, ancora con il cavaliere del governo, la candidatura alla Biennale…
Da non perdere, tra i racconti su Raul Gardini, Gianni Agnelli o Marone Cinzano, gli aneddoti su Bernardo Caprotti, il fondatore di Esselunga: «Controllava di persona l’assortimento, soprattutto del fresco. E non gli andava mai bene niente, né dell’assortimento, né della freschezza». Finché un giorno prese carta e penna e scrisse a quello che considerava responsabile: «Caro X, abbiamo fatto Pasqua senza le colombe, abbiamo fatto l’estate senza i gelati, abbiamo fatto l’autunno senza le castagne, speriamo di fare Natale senza di lei».
«CAPROTTI? CONTROLLAVA DI PERSONA L’ASSORTIMENTO, SOPRATTUTTO DEL FRESCO. E NON GLI ANDAVA MAI BENE NIENTE...»
Quando lo elessero fece una dichiarazione di appena 14 parole: «Il pensiero va soprattutto e anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini».Achilo guardava sbigottito, aspettando qualche altra frase da cui intuire il sigillo che avrebbe impresso sul settennato, aggiunse: «È sufficiente questo».Da quel 31 gennaio 2015 gli italiani hanno cominciato a conoscere Sergio Mattarella e a dare un senso preciso ai suoi discorsi, al limite del laconico ma eloquenti. E a capire che questa presidenza si sarebbe concentrata su un’idea di Stato-comunità unito e solidale e su un esercizio delle proprie prerogative rigorosamente governato dalla Costituzione. Non a caso, se gli si chiede come affronterà certi tornanti della politica, risponde: «Ho le mie idee, ma le devo tenere per me». Un atteggiamento che Giampaolo Pansa, scavando dietro la sua mitezza nel 1989 definì «pacato, tenace, senza ansie da potere né sbandamenti faziosi…». Era così già allora, Mattarella. Non cambierà nei prossimi due anni che gli restano al Quirinale.