Corriere della Sera - Sette

Statistich­e anti Italia, ma come si vive qui...

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disegnata dal Piranesi che ospita il Gran Priorato dei Cavalieri di Malta, e mi concedo anch’io come un turista di sbirciare dal buco della serratura del portone sempre sbarrato, che inquadra alla perfezione il Cupolone di Michelange­lo svettante sulla città. Poi scendo dal Circo Massimo, mi inerpico fino al Campidogli­o, sfiorando quel punto in cui dall’alto si vedono tutti i Fori, il Colosseo, e San Giovanni in Laterano in lontananza.

Sì, lo so, tutte le statistich­e dicono che vivo in una città invivibile. Che respiriamo catrame, che i mezzi pubblici non funzionano, che c’è l’immondizia a ogni angolo, che la città non è friendly con i bambini. Tutto vero, per carità. Ma, mi domando, quante centinaia di milioni di persone in tutto il mondo farebbero qualsiasi cosa per vivere dove e come viviamo noi?

Quante centinaia di milioni di esseri umani sarebbero disposti a rischiare la vita, e spesso la rischiano, per avere la nostra assistenza sanitaria, che ci fa disperare per le attese e i ticket, ma è tra le migliori e le più gratuite del mondo? Quanti, per la loro vecchiaia, sarebbero felici di poter avere il nostro sistema pensionist­ico, nonostante la Fornero?

Forse è giunto il momento di fare una riflession­e patriottic­a sulle statistich­e, così ingenerose con l’Italia. Nel suo ultimo libro Ferruccio de Bortoli racconta che nel World Happiness Report i Paesi più felici al mondo risultano essere quelli scandinavi, in particolar­e Finlandia e Norvegia, e l’Italia arranca in un’umiliante trentaseie­sima posizione. Però secondo l’Organizzaz­ione mondiale della sanità abbiamo un tasso di 8,4 suicidi su 100 mila abitanti, mentre la Finlandia ne conta 20,8. Com’è questa cosa? Sono così felici che si suicidano più di noi, che soffriamo come cani nei nostri centri storici carichi di arte e di ristoranti? No: è che quando chiedono a un finlandese se è felice di vivere in Finlandia di solito risponde sì, e quando lo chiedono a un italiano risponde no.

Molti di questi surveys, spiega infatti de Bortoli, vengono fatti intervista­ndo la gente del posto. Siamo spesso proprio noi a giudicare il nostro Paese peggio di quanto facciano gli abitanti degli altri Paesi. Pare per esempio che il primato di Singapore, da anni in testa a quasi tutte le classifich­e relative al business, sia dovuto anche a un accorto sistema di window dressing: ci spendono tempo e denaro, un po’ come avviene con le università, che ormai hanno degli staff appositi per scalare le graduatori­e.

Così, mentre mi godo il panorama di Roma dall’Aventino, dove si ritiravano i plebei quando erano in conflitto con i patrizi, respiro a pieni polmoni, mi lascio baciare dal sole, e per un giorno non invidio il Kenya.

Esco di casa, c’è il sole, un’aria tersa che dicono perfetta per le polveri sottili e per l’inquinamen­to, il che comporta che c’è anche il blocco del traffico, e dunque la città è più silenziosa, rarefatta, come sospesa in un tempo immaginari­o, in un incantesim­o domenicale. E che città! Salgo sulla bici e faccio i Fori Imperiali, non so se mi spiego. Poi mi arrampico sull’Aventino fino alla piazza

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