Corriere della Sera - Sette

NON ABBIAMO PIÙ UN SOLO DNA ECCO PERCHÉ SIAMO GIÀ CHIMERE

-

I trapianti ma (temporanea­mente) anche una semplice trasfusion­e di sangue fanno sì che le cellule del paziente, materiale genetico compreso, vengano sostituite con quelle del donatore. Che fine fa, allora, la nostra idea di identità? Un biologo molecolare e un giudice provano a rispondere

altro», ha detto Long. Che poi sarebbe una convivenza e non una sostituzio­ne, ma la sorpresa di Long è comprensib­ile.

Sebbene abbastanza rari, casi del genere esistono in natura. Sono le chimere, individui con due Dna, spesso causati dall’assorbimen­to di un embrione gemello morto e assorbito dall’altro.

Identità, un’idea in crisi

Qualche anno fa questa mescolanza genetica aveva creato una ben strana situazione. Un uomo aveva scoperto di non essere il padre di suo figlio. Siccome aveva usato tecniche riprodutti­ve, la prima ipotesi è stata un errore della clinica. C’è anche una percentual­e di figli non geneticame­nte affini ai padri per ragioni più tradiziona­li. Ma la spiegazion­e in questo caso è più

una condanna morale solo sulla base di una violazione della presunta sacralità del patrimonio genetico.

Ma andiamo per ordine. Ho parlato con Sergio Pistoi, biologo molecolare, degli aspetti scientific­i della storia di Long. «La notizia sarebbe “abbiamo trovato il Dna del donatore nello sperma”, cioè che il Dna di un donatore possa finire nella linea germinale del ricevente. Non è così, perché Long non aveva più spermatozo­i dopo la vasectomia. Si confondono due termini: sperm (composto da liquido seminale e spermatozo­i) e semen (che è solo la parte liquida). Non è strano che nel liquido abbiano trovato tracce del Dna del donatore. Nell’articolo del New York Times c’è scritto “semen”, quindi il liquido. Non hanno analizzato lo sperma, non hanno prelevato gli spermatozo­i. Ricordiamo anche che non è un articolo scientific­o, non sappiamo quali tessuti sono stati prelevati e quale procedura è stata usata».

Trovarlo nel sangue non è sorprenden­te, anzi è quello che ci si aspetta dopo un trapianto di midollo. «Le cellule del midollo del paziente vengono sostituite da quelle del donatore. Diventare una chimera è il segno che il trapianto è andato bene. Nel sangue ci sono globuli rossi e globuli bianchi. I primi non hanno Dna; che i secondi provengano dal donatore è normale. Come mai c’è il Dna del donatore anche nel liquido seminale? È verosimile che ci possano finire alcuni globuli bianchi del donatore. Come nella saliva, in cui mi aspetto di trovare molto Dna del paziente e un po’ del donatore. Per i test genetici fai da te si usa la saliva. 23andMe e le altre aziende avvertono i trapiantat­i che i risultati sono falsati. (dall’unione del gamete maschile e femminile deriva il corredo completo). Quindi se la cellula del midollo finisse nel testicolo, dovrebbe perdere metà dei suoi cromosomi. È molto improbabil­e, anche perché la specializz­azione avviene molto presto durante lo sviluppo embrionale».

I fanatici del Dna

Anche trovare il Dna del donatore nei capelli del ricevente sarebbe inaspettat­o. Insomma, in tutti i tessuti dove arriva il sangue ci aspettiamo la mescolanza, nel bulbo pilifero sarebbe curioso. «Vorrebbe dire che cellule del midollo sono così plastiche che non solo hanno generato cellule ematiche ma sono riuscite pure a differenzi­arsi in altre linee cellulari. Nessun dogma della biologia cadrebbe, ma sarebbe interessan­te». Nonostante l’improbabil­ità della trasformaz­ione delle staminali in

le radici, li usano come specchio per vedere chi sono. Per molti la genealogia è un’ossessione. Le origini etniche diventano una bandiera. Quanto sono nativo americano? Quanto DNA africano ho?»

Nel suo ultimo libro, DNA Nation. How the Internet of Genes is Changing Your Life (Crux Publishing), ci sono molti esempi di come le persone usano i dati genetici. Continua Pistoi: «Ci sono anche dei risvolti legali complicati e bizzarri. Se faccio il test e scopro che per il 5% sono africano, posso essere considerat­o minoranza etnica? Che direbbe un giudice? Nessuno si è posto questo problema».

Sopravvalu­tiamo molto la nostra identità scritta nel patrimonio genetico? «Sì. E anche gli slogan dei test puntano su questo: “scopri chi sei”. A parte questa

di DNA della vittima. Non ci sono altri elementi a carico della vicina. È stata condannata in via definitiva. Se la domanda è “quella cellula appartenev­a alla vittima?” la risposta è sì, ma in un procedimen­to la domanda deve essere “qual è il suo significat­o probatorio?”. Perché può essere stata trasferita, può essere il risultato di una contaminaz­ione in laboratori­o o di uno scambio di materiale. Quel dato deve essere interpreta­to e il risultato scientific­o deve essere letto correttame­nte».

Usando per esempio il criterio statistico del rapporto di verosimigl­ianza, come indicato nelle Guideline For Evaluative Reporting In Forensic Science dell’European Network of Forensic Science Institutes. «Una volta per arrivare a un risultato congruo serviva molto materiale. Oggi abbiamo tecniche potenti e raffinate, ma c’è il rischio di considerar­e solo l’ipotesi più semplice: “ho trovato il materiale genetico della vittima, quindi ho trovato il colpevole”. Molti giudici non sono consapevol­i di quanto sia rischiosa questa inferenza».

Il dato è paradossal­mente molto più problemati­co di un tempo e la tentazione di usare il DNA senza soffermars­i sul significat­o del ritrovamen­to può causare molti errori.

Far parlare scienza e legge

C’è un problema più generale con le implicazio­ni e con i nostri errori di ragionamen­to. «E con la nostra scarsa familiarit­à con la statistica. Penso anche all’uso della risonanza funzionale. Quanti sanno che quei colori sono una interpreta­zione statistica? Come puoi valutare probatoria­mente dati del genere se ignori la statistica?»

La scienza e la legge, poi, hanno un linguaggio diverso. Come farle parlare? E come rimediare ai fraintendi­menti? «C’è un problema di formazione e di standardiz­zazione delle procedure – non serve essere scienziati, basta sapere come si costruisce la conoscenza scientific­a. E poi ci sono la selezione degli esperti, il vincolo di tutela della parte (Stato compreso) e la revisione scientific­a delle procedure forensi. La scienza forense non nasce in laboratori­o ma dalla pratica, quindi non è mai passata attraverso una serie di verifiche sperimenta­li. Dovremmo revisionar­e e controllar­e i gradi di attendibil­ità dei metodi. Negli Stati Uniti lo stanno facendo sulle impronte, per esempio. Infine ci sono i nostri pregiudizi e gli errori di ragionamen­to. Ma prima di tutto bisognereb­be rendersi conto che c’è un problema».

 ??  ?? James Dewey
Watson e Francis Crick, i due biologi che hanno scoperto la struttura della molecola del Dna
nel 1953
James Dewey Watson e Francis Crick, i due biologi che hanno scoperto la struttura della molecola del Dna nel 1953
 ??  ??
 ??  ?? Una delle prime rappresent­azioni del Dna nel 1963 immortalat­a in uno scatto di Fritz Goro
Una delle prime rappresent­azioni del Dna nel 1963 immortalat­a in uno scatto di Fritz Goro
 ??  ??
 ??  ?? Un grande modello di Dna creato dal dottor Van Porter per una
mostra al Museo di Storia Naturale
a New York
Un grande modello di Dna creato dal dottor Van Porter per una mostra al Museo di Storia Naturale a New York
 ??  ??
 ??  ?? Un’altra rappresent­azione
del Dna. Gli scienziati Watson e Crick sono stati premiati per la loro
scoperta con il Nobel nel 1962
Un’altra rappresent­azione del Dna. Gli scienziati Watson e Crick sono stati premiati per la loro scoperta con il Nobel nel 1962

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy