Corriere della Sera - Sette

L’Ulisse di Antioco, eroe della conoscenza

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Antioco di Ascalona non è un filosofo molto conosciuto, neppure tra gli addetti ai lavori. Di solito lo si annovera tra i maestri di Cicerone, senza aggiungere altro. Eppure ha giocato un ruolo incredibil­mente importante nella nostra tradizione culturale: è da lui che Dante ha ricavato

lo spunto decisivo per la creazione del suo Ulisse, nel canto ventiseies­imo dell’Inferno. Nell’antichità Ulisse era celebrato come l’eroe paziente, capace di sopportare le prove e realizzare i suoi obiettivi – o meglio il suo obiettivo, vale a dire rientrare in patria, da una moglie e un figlio che non vedeva da anni. Ulisse era l’eroe della nostalgia, non della conoscenza. Ma tutto cambia in un breve passo di Cicerone, dove si parla appunto di Antioco: se Ulisse ha preferito le sirene alla patria, osserva Antioco, è perché prometteva­no la conoscenza. Dante non conosceva l’Iliade o l’Odissea, ma leggeva Cicerone ed è questo passo che gli ha suggerito l’idea del «folle volo», di un viaggio mosso dal desiderio di conoscere.

Alla base di questo nuovo Ulisse, che brucia dall’ardore di conoscere («l’ardore/ ch’io ebbi a divenir del mondo esperto/ e delli vizi umani e del valore»: «ardore» è proprio una parola usata da Cicerone), c’è in realtà il solito Aristotele. Perché questo desiderio di conoscere è così importante? Perché noi siamo esseri razionali ed è quando usiamo la nostra ragione e la nostra intelligen­za che realizziam­o davvero la nostra natura. Noi siamo veramente noi stessi quando pensiamo, quando conosciamo. Quando cerchiamo di capire

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