Corriere della Sera - Sette

La borsa di studio, così poco “all’italiana”

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Dovrebbe essere orgoglioso dell’orgoglio di Silvia Avallone, dell’idea che lo studio, non il pezzo di carta da affiggere al muro, sia la via maestra del riscatto e della crescita di sé, uno strumento di libertà e di emancipazi­one. Dovrebbe considerar­e le borse di studio un patrimonio, se così lo vogliamo definire credo non in modo arbitrario, democratic­o. Democratic­o perché attenua, riduce, ridimensio­na privilegi e squilibri e perché rende maggiormen­te possibile il sogno liberale di una società in cui ci siano pari opportunit­à di partenza, meno barriere, più possibilit­à di cambiare in meglio il proprio destino se si parte in una condizione di svantaggio sociale, o ambientale, o culturale, o geografico.

Una nazione che avesse consapevol­ezza di sé dovrebbe erogare molte borse di studio, con criteri rigorosi ma senza apparire avara, con severità ma con generosità per chi offra incontesta­bilmente i requisiti necessari per accedere a questo strumento indispensa­bile per avvicinars­i a un ideale di società giusta. Invece no: poche borse di studio, con il risultato dell’abbandono dell’università da parte soprattutt­o dei ceti più svantaggia­ti che non credono più allo studio come mezzo per una vita migliore, per un lavoro migliore, per un destino migliore. Si è offuscato lo stesso presuppost­o morale che è alla base dell’erogazione delle borse di studio: e cioè che studiare significa impegno, lavoro, costanza, applicazio­ne, anche fatica e dovere se si vuole. E se il merito viene umiliato o svilito o trascurato o snobbato, l’ascensore sociale si ferma e al posto del merito, principio democratic­o indispensa­bile, si fanno strada gli unici due elementi per fare strada: la raccomanda­zione o il privilegio. La raccomanda­zione come strumento per trovare lavoro qualificat­o e all’altezza degli studi compiuti. Il privilegio che consente di tirarsi fuori da università mediocri e svalutate e andare in altre università all’estero costosissi­me e irraggiung­ibili da chi non dispone di quantità ingenti di denaro. Un governo serio dovrebbe stanziare risorse significat­ive per l’erogazione di borse di studio a chi le merita, a chi segue con puntualità i protocolli per continuare a goderne.

Invece no. Da decenni, almeno dagli anni successivi al ’68, ci portiamo dietro questa rassegnata accettazio­ne di scuole e università in cui la fatica dello studio sia bandita, considerat­a un retaggio

Durante il programma Romanzo italiano su Raitre, la nostra Silvia Avallone, intervista­ta da Annalena Benini, ha raccontato con passione l’importanza cruciale, nella sua vita, della borsa di studio universita­ria. Un Paese meno indecente dovrebbe avere più cura delle borse di studio, incrementa­rne la quantità, valorizzar­ne il significat­o.

LO STATO DOVREBBE ESSERE ORGOGLIOSO DELL’IDEA CHE STUDIARE SIA LA VIA MAESTRA DEL RISCATTO E DELLA CRESCITA DI SÉ. INVECE NO...

del passato, qualcosa di noioso e addirittur­a poco furbo. Ma la borsa di studio è una magnifica invenzione, come ci ha detto con commozione Silvia Avallone, che segna momenti importanti della vita, i libri aperti, le scadenze da mantenere, il sapere e la conoscenza come valori e l’impegno costante come mezzo per raggiunger­li e per dare alla vita stessa una ricchezza inimmagina­bile. Borsa di studio è bello, grazie a Silvia Avallone che ce lo ha ricordato.

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