UN LIBRO È IL LUOGO DOVE È AMBIENTATO
Paragona la scrittura di Jorge Amado alla lussureggiante Bahia e ai suoni della foresta tropicale descritte in Terre del finimondo, mentre in quella di Ernest Hemingway sente l’odore degli aghi di pino della Sierra de Guadarrama mescolato a quello aspro del sangue versato nella Guerra civile spagnola raccontata in Per chi suona la campana. John Sutherland, professore emerito di letteratura inglese all’University College di Londra, nel suo Atlante dei paesaggi letterari ripercorre i panorami di oltre 50 romanzi: dagli ambienti romantici di Jane Austen, che mostra la campagna inglese quasi in un susseguirsi di miniature, alla Procida dell’Isola di Arturo, un apparente paradiso ma claustrofobico come il carcere che accoglie e come l’infanzia del protagonista del romanzo di Elsa Morante, per arrivare ai miseri quartieri napoletani Anni 50 dell’Amica geniale di Elena Ferrante, passando per le baraccopoli di Calcutta raccontate da Neel Mukherjee in La vita degli altri, fino alla New York del 1920 di Edith Wharton, ben diversa da quella datata 1984 di Jay McInerney. Perché i paesaggi sono così importanti per descrivere le emozioni? «A volte gli autori dipingono un paesaggio maestoso, potente, drammatico, che sovrasta l’umanità, mentre altri preferiscono spazi più ridotti», spiega John Sutherland. «L’elemento che unifica il volume è il concetto che ogni paesaggio è una sintesi di luoghi e persone: dai Promessi Sposi di Alessandro Manzoni all’Ulisse di James Joyce, la creazione del luogo non è un mero dettaglio geografico, ma anche di costumi, consuetudini, valori, di quella costellazione di fattori sociali che circonda la realtà concreta».
«La creazione di un paesaggio non è un mero dettaglio geografico», spiega John Sutherland, professore di letteratura inglese. Gli ambienti sono una parte forte del racconto