«È TRA I POCHI POSTI DOVE LE PERSONE SI RIUNISCONO NON SOLO, ASCOLTANO»
vivo in quanto femmina che fa un mestiere considerato maschile. I comizi sul palco sono un disastro, l’arte è una militanza di natura emotiva, globale. Deve suggerire, illuminare, scuotere, aiutare a porre le domande. Le rivendicazioni si portano in piazza, in parlamento, nei circoli, il teatro è il luogo del mistero e della libertà. Per Se non posso ballare… ho scelto un’idea registica che mantenesse il senso di “catalogo” non disperdendosi, però, in rivendicazione o lagna: l’ho fatto eliminando le pene e portando solo le azioni valorose. Parlano loro ed è sui loro straordinari talenti che si costruisce la danza. Un unico organico in cui tutto è accennato quel tanto che basta perché sia una ballata. E i nomi che scorrono sul muretto in scena sono la parte armonica di questa ballata».
Un percorso registico articolato attraverso diversi filoni: numerose messe in scena di opere liriche, l’ultima un’Alcina di Händel che partirà in aprile a Nancy; dai classici
da Shakespeare, da Euripide…) alle nuove drammaturgie un fosso di Fausto Paravidino, dell’oro di e con Laura Curino, Il di Gaber, di e con Roberto Saviano). Serena Sinigaglia è nei teatri in questi mesi anche con Le allegre comari di Windsor ,un Macbeth e due pièce, Il nodo con Ambra Angiolini e Ludovica
Modugno e con Isabel Green in cui affronta la “società della stanchezza”, prodotta da Atir Teatro Ringhiera, la compagnia-associazione teatrale che fondò negli Anni 90, neodiplomata con le compagne e i compagni della Paolo Grassi. Pedagoga non solo in laboratori e workshop per attori e registi e docente in diverse scuole e università, Sinigaglia ha una propensione alla coralità e al teatro partecipato, come il progetto in corso all’Accademia di Brera, Odissea-storia di un ritorno – Dall’opera epica a un evento di comunità.
Il coro è una delle sue cifre stilistiche. Come lo rende con una sola attrice in scena?
«Il coro è la massima espressione dell’intelligenza sociale. Il miracolo di persone che, pur mantenendo la propria diversità, vanno d’accordo sulla base della collaborazione. Tutto il mio lavoro di regista e la straordinaria avventura dell’Atir sono stati corali. In Se non posso ballare non c’è una sola protagonista in scena, ogni pochi secondi Lella Costa cambia recinzione, storia, musica. La stessa voce di Lella è un coro. E la danza è metafora di spiriti allegri, intelligenti. Non soffia sulle braci per accendere conflittualità. Se fossi in parlamento romperei le scatole per la differenza di salari, sul palcoscenico devo stupire spettatrici e spettatori e farli uscire carichi di una forza allegra, vitale, anche per dire... ora basta».