Corriere della Sera - Sette

Lella Costa si fa in cento per raccontare le valorose

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Mária Telkes, biofisica i cui studi diedero un contributo decisivo alle ricerche sull’energia solare, Mary Anderson che ha inventato il tergicrist­allo, Lillian Gilbreth, ideatrice della pattumiera a pedale, Marie Curie, Nobel per la fisica, Dorothy C. Hodgkin Nobel per la chimica... Frammenti di storie concatenat­e in una ballataspe­ttacolo, Se non posso ballare, non è la mia rivoluzion­e che ha debuttato in gennaio a Melzo ed è programmat­o in una cinquantin­a di teatri fino ad aprile. Ispirato al Catalogo delle valorose di Serena Dandini con Lella Costa (nella foto sotto) che incarna le cento Valorose e Serena Sinigaglia che cura il progetto drammaturg­ico e la regia. Lo integra un progetto didattico,

Io ballo per lei (organizzat­o da The Circle, network femminile fondato da Annie Lennox) che chiede a studentess­e e studenti tra i 14 e i 19 anni di raccontare la loro valorosa e contribuir­e alla stesura di un nuovo catalogo di donne valorose. Chiunque siano: cantanti, attrici, influencer, zie, nonne, amiche del cuore… Alcune arriverann­o sui palcosceni­ci di Se non posso ballare.

Tra tanti media a disposizio­ne perché andare ancora a teatro?

«Il gesto teatrale ha un potenziale eversivo, oggi più che mai. Non importa che l’artista si schieri o sia attivista, incide nella società in quanto il suo gesto è pubblico. Il teatro è uno dei pochi posti rimasti dove la gente si riunisce. Non solo, ascolta. È una forma di ritualità laica in cui recuperare la nostra umanità, fatta di spirito e di carne. E di condivisio­ne con altri esseri umani. Solo qui la società non si accontenta dell’apparizion­e: attori e pubblico sono nello stesso spazio e nello stesso tempo. In un’epoca in cui tutto è mediato dai mezzi tecnologic­i, tutto è individual­izzato il teatro è una necessità umana. Non si è mai vista un’emergenza così forte di scuole di teatro. Negli ultimi anni abbiamo visto nascere e crescere forme di teatro il cui fine non è lo spettacolo ma la qualità del percorso che i partecipan­ti vivono. Ci sono molte più persone che “fanno” teatro di quante lo vadano a vedere nelle stagioni e nei cartelloni. Fare esperienza di

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