JUDY GARLAND, ICONA TRISTE DA OSCAR
Se ancora vale la legge hollywoodiana per cui chi vince il Golden Globe poi si porta a casa pure l’Oscar, tra 10 giorni nella notte di Los Angeles potremmo vedere l’ex ragazza texana Renée Zellweger alzare la statuetta della migliore attrice protagonista per la sua Judy Garland nel biopic omonimo Judy. Soltanto il Joaquin Phoenix di Joker sul fronte maschile è più favorito di lei. E se entrambi riuscissero a centrare l’obiettivo davvero nessuno potrebbe opporsi: scelta sacrosanta. Nei due casi ci troviamo di fronte ad interpretazioni che sovrastano i rispettivi film. Con Joker sicuramente superiore al lavoro del regista britannico Rupert Goold sulla base di un testo teatrale di
Peter Quilter
Rainbow). Non che la scelta di affrontare i momenti dell’alba e del tramonto del sogno ad occhi aperti che portò una ragazzina del Minnesota a diventare l’icona Garland pecchi di scarsa originalità. Bambina prima e bambina dopo è trovata azzeccata. Peccato che il racconto proceda invece con ritmo troppo compassato, affidandosi totalmente alla sua protagonista. Zellweger ha studiato un anno canto con un vocal coach per avvicinare le memorabili esibizioni dal vivo di Judy. E non ha sprecato il suo tempo. Convince. Come quando arriccia le labbra in una smorfiatormentone che resterà e unisce per incanto lo snobismo della diva allo strazio della donna e madre sola e incompresa.
LA FRASE
Regia di Rupert Goold con Renée Zellweger, Jessie Buckley, Finn Wittrock,
Michael Gambon