Corriere della Sera - Sette

JUDY GARLAND, ICONA TRISTE DA OSCAR

- (End of the di ENRICO CAIANO

Se ancora vale la legge hollywoodi­ana per cui chi vince il Golden Globe poi si porta a casa pure l’Oscar, tra 10 giorni nella notte di Los Angeles potremmo vedere l’ex ragazza texana Renée Zellweger alzare la statuetta della migliore attrice protagonis­ta per la sua Judy Garland nel biopic omonimo Judy. Soltanto il Joaquin Phoenix di Joker sul fronte maschile è più favorito di lei. E se entrambi riuscisser­o a centrare l’obiettivo davvero nessuno potrebbe opporsi: scelta sacrosanta. Nei due casi ci troviamo di fronte ad interpreta­zioni che sovrastano i rispettivi film. Con Joker sicurament­e superiore al lavoro del regista britannico Rupert Goold sulla base di un testo teatrale di

Peter Quilter

Rainbow). Non che la scelta di affrontare i momenti dell’alba e del tramonto del sogno ad occhi aperti che portò una ragazzina del Minnesota a diventare l’icona Garland pecchi di scarsa originalit­à. Bambina prima e bambina dopo è trovata azzeccata. Peccato che il racconto proceda invece con ritmo troppo compassato, affidandos­i totalmente alla sua protagonis­ta. Zellweger ha studiato un anno canto con un vocal coach per avvicinare le memorabili esibizioni dal vivo di Judy. E non ha sprecato il suo tempo. Convince. Come quando arriccia le labbra in una smorfiator­mentone che resterà e unisce per incanto lo snobismo della diva allo strazio della donna e madre sola e incompresa.

LA FRASE

Regia di Rupert Goold con Renée Zellweger, Jessie Buckley, Finn Wittrock,

Michael Gambon

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