Caro/a compagno/a, non ti riconosco più
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Caro Massimo, non ne posso più. La solitudine forzata, la routine sempre uguale, le quattro mura del mio appartamento: tutto questo lo posso sopportare. Quello che non sopporto, invece, è il mio compagno. Premetto che abbiamo entrambi 36 anni e che conviviamo da parecchio, perciò pensavo che certi problemi li avessimo accantonati. E invece no! Siamo entrambi a casa in telelavoro e la quotidianità, in questo senso, riusciamo a gestirla bene. Il problema è tutto il resto. La cura della casa, insomma: lui non muove un dito, io ogni giorno riordino, pulisco, organizzo i pasti... Ho scoperto che il mio compagno, che credevo generoso o se non altro disponibile, è molto più egoista e permettimi di dirlo maschilista di quanto pensassi.
Pare dare per scontato che tocchi tutto a me, e certo se gli chiedo una mano me la dà, ma è come se non si rendesse conto che, se vogliamo vivere in una casa pulita e ordinata, qualcuno deve pensarci. Non gli viene in mente, per dire, di prendere l’aspirapolvere o di passare la spugna sul piano della cucina. Ora tengo duro, perché la sola idea di discutere mi fa stare male: come si fa ad affrontare un litigio senza valvole di sfogo? Però mi chiedo cosa fare alla fine di questo periodo di quarantena forzata: forse non è la persona adatta a me? O forse tutti gli uomini sono così (egoisti, poco collaborativi, scansafatiche nella gestione della casa) e quindi tanto vale che mi tenga il mio che almeno, ogni tanto, cucina?
Chiara
Caro Massimo, ma chi è mia moglie? Pensavo di saperlo ma in questi giorni di reclusione obbligata mi sto rendendo conto che forse non la conosco così bene come pensavo. Sta spesso per conto suo, a volte addirittura si chiude in una stanza. E quando io propongo qualcosa da fare per riempire le nostre giornate boccia sempre tutto, o accoglie le mie idee con grande ritrosia. A volte ho quasi l’impressione che mi sfugga, che la mia presenza le sia di peso. Aiutami, perché la quarantena è ancora lunga e io non so più cosa fare.
Michele
CARA CHIARA E CARO MICHELE, ho riassunto per telefono le vostre lettere a una mia amica avvocata, specializzata in diritto di famiglia. «E si preoccupano per così poco?», ha sorriso. Dice che in studio le sta arrivando decisamente di peggio: richieste di divorzio, denunce per maltrattamenti fisici e psicologici. Se qualcuno si era illuso di tenere in piedi la baracca coniugale uscendo di casa all’alba per tornarvi a notte fonda, adesso è obbligato a guardare negli occhi i familiari e, se commette l’imprudenza di passare davanti a uno specchio, persino sé stesso. Chi aveva una doppia o tripla vita, ora è costretto a gestirne una sola, con risultati spesso imbarazzanti, specie se con il partner titolare deve condividere ambienti ristretti. Il bagno è diventato lo spazio più ambito della caverna, perché l’unico in cui ci si può chiudere in solitudine a chattare con l’esterno senza suscitare sospetti. Sempre che non si resti dentro un’ora, o non ci si vada ogni cinque minuti. Il telefonino, con le sue memorie non tutte immediatamente estinguibili, era già la scatola nera delle nostre vite. Ma ai tempi del coronavirus si è trasformato in una vera e propria bomba, capace di far deflagrare le unioni in apparenza più solide.
Però anche chi, come nel vostro caso, non si trova a gestire situazioni ramificate e complesse dall’antro inaccessibile della sua
«IO E LUI SIAMO IN TELELAVORO, MA LE PULIZIE TOCCANO A ME». «MIA MOGLIE SI CHIUDE NELLA STANZA, MI SENTO DI PESO»