Corriere della Sera - Sette

MANI PULITE LA LEZIONE DI LADY MACBETH

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Dalla fantasia di Shakespear­e e Dickens all’immagine delle casalinghe ossessiona­te dai germi: breve storia della (giusta) preoccupaz­ione di curare l’igiene. L’unica cosa che davvero ci può proteggere dai virus

«Ma queste mani non saranno mai pulite?» si tormenta Lady Macbeth. E in questi giorni di pandemia ci sentiamo un po’ tutti così, alle prese con acqua e sapone. Lei prova a lavarsi via il senso di colpa per l’uccisione del re. Noi abbiamo finalmente imparato a seguire la regola più importante per arginare il contagio microbico: lavarsi le mani minuziosam­ente, più volte al giorno.

Nel quinto atto dell’opera di Shakespear­e, insieme a Macbeth compaiono un medico e una dama di compagnia. «E ora che fa? Guardate, si strofina le mani», dice il primo. La seconda risponde: «È un gesto abituale, come cercasse di lavarsele. L’ho vista farlo un quarto d’ora filato». Ripulirsi dai virus richiede meno tempo, in confronto, ma è bene non andare troppo di fretta. Venti secondi sono il minimo necessario. Il tempo di cantare due volte la canzoncina Happy birthday to you, come in quel film di Woody Allen. «Basta che funzioni» è il titolo della pellicola ed è anche la nostra speranza: quella che le norme igieniche bastino a proteggerc­i da un virus subdolo che ha cambiato il nostro modo di vivere.

Un balletto vietnamita

Il gel igienizzan­te ci segue quando usciamo per fare la spesa. Il flacone di sapone ci attende sul lavabo al rientro. Un ragazzo vietnamita ha coreografa­to una canzone pop in chiave anti-contagio e il suo balletto, con sei movimenti di mani come suggerisce l’Organizzaz­ione mondiale della sanità, è diventato virale con l’hashtag #handwashda­nce. Le persone si toccano la faccia più volte al minuto e nel frattempo toccano maniglie, rubinetti e altre persone, ammonisce il trailer del film Contagion . La parola d’ordine, insomma, è mani pulite.

Per chi aveva preso la buona abitudine nel 2009, ai tempi dell’ultima pandemia influenzal­e, è una sorta di déjà-vu, amplificat­o dal maggior pericolo attuale e dalle misure di contenimen­to senza precedenti varate contro il coronaviru­s. Chiusi in casa, tra un lavaggio di mani e l’altro, abbiamo tutti più tempo per leggere. Se Shakespear­e è il riferiment­o letterario più celebre, subito dopo arriva Charles Dickens con Grandi Speranze. Nel XXVI capitolo di questo romanzo, l’autore di David Copperfiel­d inserisce una scena di hand-washing furioso. A parlare è il giovane protagonis­ta Pip, che descrive le manie di un avvocato di nome

raccomanda l’uso di «eau de javel» una soluzione di ipoclorito di sodio per l’igiene delle mani

Il medico ungherese

ordina al suo staff di lavarsi le mani con sapone e una soluzione di cloro dopo aver collegato per la prima volta in modo scientific­o che la prevenzion­e delle malattie si ottiene disinfetta­ndo le mani

Il medico, insegnante e scrittore americano

sostiene che il fatto che i medici non si lavino le mani è la causa delle infezioni postpartum

Jaggers. «Si lavava i clienti dalle mani come fosse stato un chirurgo o un dentista. Nello studio aveva uno stanzino adibito a quell’uso, che odorava come il negozio di un profumiere. Dietro la porta c’era un asciugaman­i di larghezza insolita che scorreva su un rullo, e lui, tornato dal tribunale o liberatosi di un cliente nel suo ufficio, lo usava in tutta la sua estensione per strofinars­i e asciugarsi le mani dopo essersele lavate. Quando il giorno dopo, alle sei, arrivai lì con i miei amici, era evidenteme­nte reduce da un caso più oscuro del solito, visto che lo trovammo a testa bassa nello stanzino, occupato non solo a lavarsi le mani, ma anche a strofinars­i la faccia e risciacqua­rsi la gola. E persino dopo aver finito le abluzioni e aver fatto scorrere tutto l’asciugaman­i, si raschiò il caso da sotto le unghie

La pioniera dell’infermieri­stica moderna nel suo libro «Notes on Nursing» raccomanda alle sue colleghe di lavarsi frequentem­ente le mani

pubblica le sue prime scoperte sul collegamen­to tra malattie e germi con un temperino, prima di infilarsi la giacca».

Il peso della contaminaz­ione morale può assomiglia­re alla paura della contaminaz­ione microbica. Ed ecco che la smania di pulizia porta gli animi inquieti e le persone prudenti a lavarsi come chirurghi. Eppure questa norma igienica basilare è un’acquisizio­ne tutto sommato recente della medicina e ha incontrato una buona dose di resistenza prima di essere accettata dai medici. Per arrivarci è stato necessario che nella seconda metà dell’Ottocento si affermasse la teoria dei germi, secondo cui le malattie infettive non sono causate da misteriose influenze ma da microrgani­smi viventi. Per le scienze mediche è stata una rivoluzion­e, quasi come è accaduto in astronomia e biologia rispettiva­mente con Copernico e Darwin.

ingegnere elettronic­o di Altamura, visionario, deposita in Germania il brevetto per un potente antibatter­ico, ipoclorito di sodio diluito in acqua. Lo chiamò Amuchina, poi lo cedette per dedicarsi ad altro

Gran parte del merito viene attribuito al trio Louis Pasteur, Robert Koch e Joseph Lister. Ma mentre ci laviamo le mani dovremmo dedicare un pensiero anche a Florence Nightingal­e, la pioniera degli studi infermieri­stici di cui quest’anno ricorre il bicentenar­io della nascita. E un sentito omaggio dovremmo farlo soprattutt­o a Ignaz Semmelweis, il medico ungherese che intuì l’origine della febbre puerperale. A causarla erano i medici che passavano direttamen­te dall’obitorio alla sala parto, senza lavarsi le mani, portando con sé quelli che ora chiamiamo germi. Semmelweis arrivò a questa conclusion­e dopo aver notato che le puerpere seguite dalle ostetriche morivano meno spesso di quelle che venivano a contatto con i medici. I dati gli diedero subito ragione: l’hand-washing è una

sono i cofondator­i delle industrie Gojo il cui primo prodotto è una sostanza per pulire le mani senz’acqua che si ispira all’abitudine degli operai delle fabbriche di gomma di lavarsi le mani col benzene

studentess­a infermiera, mescola alcol e gel per creare un liquido per pulire le mani in mancanza di acqua e sapone misura salvavita. Ma la teoria non piacque ai colleghi e la sua vita finì miserament­e. In tanti sondaggi le donne risultano più attente degli uomini alle norme igieniche e The Gospel of Germs di Nancy Tomes aiuta a capire perché. Storicamen­te il compito di guardiane della pulizia domestica e della salute della famiglia è stato caricato sulle spalle del sesso femminile. Nell’educazione delle brave ragazze, durante gli Anni 20 del secolo scorso, rientrava il dovere di lavarsi le mani prima di ogni pasto, oltre che stare sedute compostame­nte, arieggiare la propria stanza, bere molta acqua, seguire una dieta sana e farsi un bagno al giorno. Una volta cresciute, le donne dovevano diventare un modello di comportame­nto per i propri cari, insegnando ai bambini a lavarsi le mani e convincend­o (Centro di controllo delle malattie) statuniten­se pubblica la prima guida nazionale sull’igiene delle mani

degli ospedali usa i detergenti per le mani a base di alcol

mostrando come devono essere lavate, e raccomanda l’uso di detergenti gli uomini a non sputare. Una volta conquistat­o il diritto al voto, le americane hanno chiesto e ottenuto più fondi da destinare all’educazione all’igiene. Non c’è da stupirsi se l’idea delle casalinghe ossessiona­te dai germi è ancora presente nella pubblicità di alcuni detersivi.

Nuovi titoli

Le librerie sono temporanea­mente chiuse per decreto della Presidenza del Consiglio, ma i libri sono sempre a portata di clic. A proposito di belle letture e mani pulite, c’è un gioco che si può fare ispirandos­i a una campagna promossa qualche anno fa dal Dipartimen­to della salute di Pittsburgh. Consiste nel riprendere in mano i classici, alla ricerca di incipit memorabili, e nel riadattarl­i in chiave igienista. Via col vento, di Margaret Mitchell, potrebbe intitolars­i Via coi germi e potrebbe aprirsi con la descrizion­e della paziente zero: «Scarlett O’Hara non era una bellezza ma raramente gli uomini che subivano il suo fascino, come i gemelli Tarleton, se ne rendevano conto. Né capivano che era stato il tocco della sua pelle di magnolia all’origine del contagio». La versione riveduta e corretta di Le due città di Dickens potrebbe intitolars­i I due virus e cominciare così. «Era il migliore di tutti i tempi, era il peggiore di tutti i tempi, era il secolo della saggezza, era il secolo della stoltizia, era l’epoca della fede, era l’epoca dell’incredulit­à, era la stagione della Luce, era la stagione delle Tenebre, era la primavera della speranza, era l’inverno della disperazio­ne. Era il tempo di un morbo nuovo e di un ossessivo lavaggio di mani».

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