Corriere della Sera - Sette

Povera, afro, madre sola, bella: l’inferno di Lutie aiuta a reagire

- CHIARA GAMBERALE di SILVIA AVALLONE

Tutte qualità che dovrebbero facilitarl­e la vita: potrebbe diventare qualcuno, o sempliceme­nte costruirsi un futuro decente. Ce la mette tutta. Eppure rimane una preda che si dimena dentro la gabbia di una società che non prevede per lei altro destino di pulire le cucine degli altri, accudire i figli degli altri, per arrivare a malapena a pagare l’affitto di due stanze minuscole che le si chiudono intorno come una bara.

Razzismo, sessismo, povertà sono solo concetti. Se non ti toccano in prima persona, non li senti. Ma vedere Lutie che consuma le suole per trovare qualcosa di “economico” – tagli di carne economici, sapone per il bucato giallo economico […] Le sembrava che le loro vite ruotassero intorno al prezzo delle cose – è uno strazio. Le continue molestie da parte degli uomini, i tentativi di stupro, un pugno allo stomaco che toglie il fiato. I pregiudizi delle persone bianche – se una ragazza era di colore e abbastanza giovane, be’, era ragionevol­e dedurre che fosse una prostituta – insopporta­bili.

Ne ho letti di romanzi feroci. Ma raramente come La strada mai capitato, infatti, di non riuscire a prendere sonno.

Quando l’ho chiuso – uno dei finali più potenti che ricordi – bruciavo d’ingiustizi­a: possibile che una donna debba sopportare questo inferno?

Immaginate di essere Lutie Johnson. Una giovane donna, sola, con un figlio di 8 anni. Povera. Di colore. Negli Anni 40 ad Harlem, quartiere ghetto alla periferia di New York dove gli afroameric­ani vengono ammassati in case fatiscenti. Lutie è intelligen­te, determinat­a, ha una grande forza di volontà e un corpo sano che sprigiona bellezza.

di Ann Petry. Non mi è

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