I GIORNI DEL LUTTO MIA MADRE, LA RIANIMAZIONE NON SENTIAMOCI IN COLPA PER GLI ADDII SENZA FUNERALE
Per un singolare e doloroso concorso di circostanze, la mia esistenza è stata sbalestrata dalla sua consueta orbita di piaceri, abitudini e doveri molto prima che arrivassero le prime, sinistre immagini di Wuhan e che la minaccia della pandemia, diventata una realtà, ci travolgesse tutti come l’onda che spazza il ponte di una nave.
Nulla di eccezionale: come tanti parenti e amici di persone care ricoverate in un reparto di terapia intensiva, sono stato costretto a imparare regole e nozioni che fino a poche settimane fa non appartenevano alla sfera della comune esperienza. Mia madre è entrata in uno di questi reparti, all’ospedale San Camillo di Roma, confinante con il più conosciuto Spallanzani, a metà dello scorso dicembre. Era un bravo medico, e nonostante l’età ormai avanzata, aveva deciso qualche giorno prima di sottoporsi a una delicata operazione, accettando evidenti rischi. Poteva andare bene, ed è andata male.
Ancora non credo che mia madre abbia commesso un errore. Se c’è una cosa che ho ereditato da lei, è un amore assoluto per la vita, in ogni minimo dettaglio o fenomeno. E dunque, ci ha provato, e ha fatto bene. Il guaio è che non è morta, come si suol dire, sotto i ferri. E proprio ciò che lucidamente più temeva si è realizzato: un atroce equilibrio di fatti positivi e negativi che l’hanno tenuta per mesi prigioniera in un corpo che non poteva più funzionare senza macchine, ma che non rientrava nei parametri di un trattamento pietoso, come viene definito. Pallidi, scarsamente decifrabili lumicini di speranza si accendevano lungo quello che in realtà era solo un calvario.