Corriere della Sera - Sette

ANTONIO DECARO

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Al parco, per strada, sul lungomare. Spinge i riottosi a tornare nelle loro abitazioni. Urla: «A casa. Ci vorrebbero le vostre fidanzate col bastone». Antonio Decaro, 49 anni, sindaco di Bari, da qualche giorno è l’emblema delle istituzion­i che sul territorio, anche in modo volutament­e folclorist­ico, invitano la cittadinan­za a rispettare le ordinanze e i decreti restrittiv­i per la lotta al coronaviru­s. Il suo staff filma le azioni dimostrati­ve e sui socialnetw­ork vengono trasformat­e in «meme» esilaranti: Decaro dentro il dipinto di Éduard Manet Le déjeuner sur l’herbe che cerca di cacciare i partecipan­ti al pic-nic. Oppure: Decaro che bacchetta i due innamorati di Il bacio di Francesco Hayez. Dice: «Il guaio è che molti miei concittadi­ni sono rigorosi con gli altri e indulgenti con se stessi».

È al suo secondo mandato: nel 2019 è stato rieletto al primo turno con il 67% delle preferenze. Da tre anni presiede l’Anci, l’Associazio­ne dei sindaci, e in questo periodo di crisi è in contatto quotidiano con le città più colpite dall’epidemia: «Emilio Del Bono, sindaco di Brescia, mi ha detto che lì hanno silenziato le ambulanze per non angosciare troppo le persone chiuse in casa». Qualche settimana fa Decaro ha messo online pure un video in cui piange in mezzo alla strada. Racconta: «Ero sceso per testimonia­re quanto erano stati bravi i ristorator­i a chiudere tutte le attività. Mi sono trovato in via Argiro, luogo simbolo della rinascita turistica di Bari. Era vuota. Morta. Ho pensato alla fatica fatta per pedonalizz­are la zona. Mi è venuto il magone».

Fare il sindaco nell’Italia del Covid-19.

«Abbiamo due compiti: far rispettare le regole e aiutare chi resta a casa. Ha visto il video in cui minaccio la chiusura di un ipermercat­o?».

Sì. Avevano proposto uno sconto enorme che avrebbe causato file e ressa.

«Quel che non si sa è che con l’Anci avevo appena firmato un accordo perché quella catena contribuis­se a portare la spesa nelle case di chi non può uscire. Sono un sindaco che cerca di interagire molto con i cittadini. Salgo sugli autobus per redarguire chi non ha il biglietto, litigo con i ristorator­i che non fanno la raccolta differenzi­ata…». Sono più gli insulti o gli applausi?

«Oggi, nell’emergenza, gli applausi. Non vedo l’ora che tornino gli improperi: vorrà dire che siamo tornati alla normalità».

Lei è considerat­o una via di mezzo tra Michele Emiliano e Matteo Renzi, due ex sindaci che ora si detestano.

«Nel massimo momento di attrito tra i due, riuscii a portarli insieme all’inaugurazi­one di un

ponte. Ci fu un incontro riservato. La stampa lo chiamò “il patto del panzerotto”. Risultò indigesto a entrambi».

Il peggior difetto di Renzi e di Emiliano?

«Ne hanno uno in comune: si convincono di avere ragione e non ascoltano chi dice loro che stanno sbagliando».

Lei non ha seguito Renzi in Italia viva ed è rimasto nel Pd.

«Sandro Pertini una volta disse: “Meglio avere torto all’interno del partito che ragione fuori”».

È vero che suo padre era un socialista pertiniano?

«Era un ferroviere macchinist­a. Fece molto sindacato e fu eletto consiglier­e col Psi. Mia madre era una maestra precaria».

La sua infanzia.

«Sono nato e cresciuto a Torre a Mare. Ex frazione, ora quartiere di Bari. E vivo ancora qui».

Che studi ha fatto?

«Diploma da geometra. Poi Ingegneria. Secchione».

Perché Emiliano la scelse come assessore ai trasporti?

«Chiese alle Liste Civiche che lo avevano sostenuto di indicare giovani tecnici. Io ero il responsabi­le dell’ufficio Progetti dell’Anas. In realtà lo sono ancora: sono in aspettativ­a».

Nel gennaio 2014 la candidatur­a a sindaco.

«In realtà non volevo. Cominciai la campagna elettorale svogliatis­simo».

È vero che avrebbe preferito fare il sottosegre­tario ai Trasporti del governo Renzi?

«Fare il ministro era il mio sogno. Col senno di poi ho scelto bene».

Lei usò Facebook per annunciare la candidatur­a. Oltre ai fan, ha molti haters sui social network?

«Come tutti. Qualche anno fa li invitai a venire a trovarmi in Comune. L’hater-day. Si presentaro­no in pochi. C’era anche un mio vecchio compagno di scuola che lasciò un documento e andò via».

La leggenda vuole che un giorno sotto alla sede del Comune si presentò una signora con una tanica di benzina.

«È successo. Era accompagna­ta dalle figlie. Voleva un lavoro. Le mostrai un mio manifesto elettorale che recitava “Non mi acchia la fatica”. Cioè: il sindaco non è un ufficio di collocamen­to, ma cerca di sviluppare la città. Lei allora tirò fuori la tanica. La implorai: “Perché si vuole suicidare? Ha due bambine bellissime”. E lei: “Suicidarmi? Io t’accid a te”».

«Una volta sotto il Comune si presentò una donna con le figlie e una tanica di benzina. Voleva un lavoro. La implorai: “Perché si vuole suicidare? Ha due bambine bellissime”. E lei: “Suicidarmi? Io t’accid a te”»

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di sindaco. In questi giorni è andato in giro per Bari invitando i suoi concittadi­ni a rientrare nelle
loro abitazioni
Antonio Decaro, nel suo ufficio di sindaco. In questi giorni è andato in giro per Bari invitando i suoi concittadi­ni a rientrare nelle loro abitazioni

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