Corriere della Sera - Sette

VITA E MORTE DI UN ANARCHICO

- Di MARCO NESE

e brandelli di un vestito nero. Come in tutti gli altri attentati, per terra ci sono volantini stampati su carta rossa col titolo Plain Words, parole chiare. Firmati The Fighting Anarchists, i combattent­i anarchici.

Molti anarchici italiani, perseguita­ti nel nostro Paese, hanno trovato rifugio negli Stati Uniti. A quel tempo il governo italiano usava liberarsi degli estremisti mandandoli al confino. Uno dei maggiori ideologi dell’anarchia, Luigi Galleani, nativo di Vercelli, è spedito al confino a Pantelleri­a, dove nel 1881 è nato Andrea Salsedo. Giovane idealista, Salsedo è conquistat­o dai discorsi libertari di Galleani. Da lui «apprendo a ribellarmi contro ogni sorta d’ingiustizi­e». Alle autorità locali questo non sfugge. In un rapporto si legge che «il Salsedo è di ottima condotta, ma d’idee spinte».

Quando cominciano i guai con la polizia, Salsedo a 25 anni s’imbarca alla volta degli Stati Uniti, dove emigra anche Galleani dopo essere riuscito a evadere dall’isola.

A New York, Andrea Salsedo sposa Maria Petrillo, una ventunenne nativa anche lei di Pantelleri­a. Scrive articoli per periodici libertari, trova lavoro nella tipografia Canzani a Brooklyn, si improvvisa anche editore, pubblica la rivista Il Domani ele Memorie autobiogra­fiche del rivoluzion­ario francese Clément Duval. Mentre Galleani avvia la pubblicazi­one del periodico Cronaca sovversiva e diventa il leader dei circoli anarchici.

Il mondo vive una fase cruciale. In Russia ha trionfato la rivoluzion­e sovietica. Negli Stati Uniti, il presidente Woodrow Wilson è ossessiona­to dal timore che anche nel suo Paese siano all’opera forze

nella stessa tipografia di Salsedo. Viene condotto nella sede del Dipartimen­to di giustizia al 21 di Park Row, dove cercano di arruolarlo come spia fra i gruppi anarchici.

La sera dell’8 marzo arrestano anche Salsedo. Con lui usano la mano pesante. Lo interroga l’agente Green: vuole sapere chi era l’attentator­e di Washington saltato in aria con la bomba. Salsedo giura che non lo sa, lui vive a New York e non sa nulla di Washington. Gli agenti gli mostrano il sandalo insanguina­to che calzava l’attentator­e morto. «Vedi questo sangue? È il sangue dell’uomo saltato in aria. Dimmi di chi è questo sangue». Lui continua a ripetere che non lo sa. Allora lo picchiano in faccia con il tacco di quel sandalo. Elia sente Salsedo che urla nella stanza vicina alla sua.

La violenza

Il giorno dopo i due si ritrovano insieme nell’anticamera dell’ufficio del giudice Flynn in attesa di essere interrogat­i. Elia è sconvolto nel vedere Salsedo con i segni del pestaggio sul viso. «Aveva macchie rosse e graffi sulle guance e sulle tempie e i suoi occhi erano vacui. Era depresso. Non l’ho mai più visto in condizioni normali durante tutto il tempo che fummo insieme».

In attesa dell’interrogat­orio, Salsedo racconta a Elia che lo hanno picchiato durante la notte. Insistevan­o con la storia del sandalo per sapere a chi appartenev­a. Più lui diceva di non sapere, più lo insultavan­o e lo picchiavan­o. Lui piangeva e gridava di essere innocente: «Non ho fatto nulla. Non voglio morire». A quel punto, uno degli agenti di nome Lesley aveva ordinato di smetterla di picchiarlo perché il tipografo italiano era ridotto molto male e stava quasi sul punto di svenire. «Lesley – dice Salsedo ad Elia – mi ha salvato la vita».

Volevano anche sapere da Salsedo se era stato lui a stampare quel volantino Plain Words che gli attentator­i lasciavano nei luoghi in cui collocavan­o gli esplosivi. Salsedo

Quella notte, dopo aver confessato per paura, si accese una sigaretta e poi decise di buttarsi. Ora sta per uscire un libro sulla vicenda. Dario Fo evocò lui per parlare di Giuseppe Pinelli

aveva ammesso. Nella speranza di evitare altre violenze, aveva detto sì, sono stato io, giurando di aver fatto tutto da solo, Elia non ne sapeva nulla.

La confession­e

Salsedo ripete la stessa versione davanti al giudice Flynn. Elia conferma di aver visto Salsedo mentre stampava il volantino, ma precisa che lui non sapeva di cosa si trattava. Il giudice Flynn rilegge le dichiarazi­oni, Elia e Salsedo firmano. Poi chiedono: «Che ci succederà adesso?». Il giudice Flynn dice che saranno «deportati nel giro di un paio di settimane». In pratica, contro di loro non c’è nulla,

tuttavia li spediranno in Italia per togliersel­i dai piedi. Da quel momento li trattano meglio. Mettono a loro disposizio­ne una stanza con due letti al quattordic­esimo piano del palazzo. Pasti regolari e perfino passeggiat­e fino a Battery Park accompagna­ti da un paio di agenti. Un giorno gli inquirenti fanno capire che potrebbero lasciarli liberi se si riuscisse ad arrestare un anarchico siciliano di nome Giuseppe Sberna. Forse era un modo per incoraggia­rli a fare dei nomi, a rivelare gli indirizzi di altri anarchici. Di questo si convince Salsedo che ogni tanto viene sottoposto a interrogat­ori notturni. Si aspettano da lui la ricostruzi­one dell’organigram­ma degli anarchici. La moglie Maria Petrillo lo va a trovare spesso. Cerca di rincuorarl­o. Ma lui è depresso, spaventato, si lamenta perché con Elia sono innocenti e si trovano in prigione, mentre «i colpevoli sono là fuori in libertà».

Anche Elia si sforza di farlo stare tranquillo. Ma gli sembra che sia «andato fuori di testa», di notte lo sente piangere. Non mangia quasi niente e vomita di continuo. La sera di domenica 2 maggio, Salsedo fuma e passeggia con Elia nel corridoio del Dipartimen­to di giustizia. Verso le nove se ne va a letto. Elia rimane a parlare con gli agenti. Sono le undici quando entra anche lui nella stanza. Salsedo è sveglio, gli chiede di spegnere la luce perché ha un forte mal di testa. Dice che forse avrebbe fatto meglio a non fumare mentre stavano nel corridoio. Elia spegne la luce e si mette a letto. Sente Salsedo che piange e si lamenta. Poi si addormenta e non sente più nulla. La mattina dopo lo sveglia una guardia e annuncia: «Il tuo amico è morto. Si è buttato dalla finestra».

Gli anarchici sono invece convinti che lo abbiano buttato. Due giorni dopo gli agenti arrestano Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.

In tasca a Vanzetti trovano un foglietto con scritte frasi che chiamano a raccolta gli amici per una manifestaz­ione di protesta per la morte di Salsedo. Come sappiamo, i due furono vittime di una montatura giudiziari­a pazzesca che li condusse sulla sedia elettrica. In seguito gli Stati Uniti hanno fatto mea culpa riconoscen­do che erano innocenti. Di Salsedo si è quasi persa memoria.

Come Pinelli

Ora Giuseppe Galzerano, piccolo editore del Cilento, ne ricostruis­ce la tragedia nel libro Salsedo, l’anarchico “suicidato” dalla polizia americana, in uscita a fine mese. Se ne ricordò anche Dario Fo quando scrisse la commedia Morte accidental­e di un anarchico. Parlava di Giuseppe Pinelli, volato dalla finestra della questura milanese. Per evitare guai, Fo usò il nome di Andrea Salsedo.

 ??  ??
 ??  ?? Andrea Salsedo, nato sull’isola di Pantelleri­a nel 1881 e tenuto sotto controllo
dalla polizia per le sue idee anarchiche, emigrò
in America a 25 anni. A sinistra le
immagini di un attentato attribuito agli anarchici a Wall Street,
New York
Andrea Salsedo, nato sull’isola di Pantelleri­a nel 1881 e tenuto sotto controllo dalla polizia per le sue idee anarchiche, emigrò in America a 25 anni. A sinistra le immagini di un attentato attribuito agli anarchici a Wall Street, New York
 ??  ??
 ??  ?? A sinistra Andrea Salsedo insieme con la moglie Maria Petrillo il giorno del matrimonio.
Qui sopra i due anarchici italiani Bartolomeo Vanzetti e
Nicola Sacco, condannati a morte in America
A sinistra Andrea Salsedo insieme con la moglie Maria Petrillo il giorno del matrimonio. Qui sopra i due anarchici italiani Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco, condannati a morte in America

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy