Casalinga di Voghera, tu vivrai
Nei romanzi di Alberto Arbasino, le zie di Voghera (dove lo scrittore era nato nel 1930) fanno parte della saga familiare, sono una presenza fissa in certe seratine-mondo racchiuse da 5 parole: «Perdinci. Perbacco. Caspita. Rosario. Radio».
All’inizio, in un articolo del Corriere della Sera, la casalinga (identificata nelle zie) era descritta come portatrice sana di buon senso lombardo, virtù di cui erano privi, per Arbasino, molti italiani. Ma col tempo è diventata un luogo comune, come a Roma si dice la Sora Cecia e la Sora Lella. Per molto tempo, l’espressione ha significato lo stereotipo della donna di casa di provincia, facendo arrabbiare non poco le vere casalinghe di Voghera.
L’aspetto più curioso è che l’espressione avrebbe molti padri. In una Bustina di Minerva, Umberto Eco sostiene che la locuzione «casalinga di Voghera» ha origine da un’inchiesta svolta negli anni Sessanta dal Servizio Opinioni della Rai, sulla comprensione del linguaggio politico: in quella ricerca esisteva un campione di casalinghe della città di Voghera. Può darsi che Eco abbia ragione ma la formula ha ripreso a circolare grazie a un film di Nanni Moretti, Sogni d’oro (1981) in cui si faceva accenno, durante un dibattito, alla «casalinga di Treviso». L’espressione è stata definitivamente consacrata da un articolo di Beniamino Placido che, recensendo un programma di Bruno Vespa, lo accusò di linguaggio «politichese» incomprensibile «alla casalinga di Voghera».
Di mezzo ci sarebbe anche Carolina Invernizio (di Voghera), ma solo Arbasino l’ha resa un archetipo sociale di cui, ancora oggi, non possiamo fare a meno.