Mi mancano volti, smorfie. Solo nasi in tv
L’Italia è diventata un Paese senza volto. Letteralmente. Le rare persone che vediamo in giro si stagliano in lontananza come i banditi dei film western: nascondono i lineamenti sotto mascherine di ogni foggia e colore, la cui varietà e approssimazione ci ricorda ogni momento che nazione disorganizzata e creativa allo stesso tempo siamo.
Ognuno la porta a modo suo: chi lasciando scoperto il naso (chissà perché, visto che l’infezione può passare anche di là); chi abbassata sul collo, come un cache-col; chi vestendola con civetteria, alle ventitré: chi indossandola correttamente ma solo per togliersela quando deve parlare, cioè proprio nel momento fatale del droplet.
Questa scomparsa dei volti, e con essi delle individualità, temo che sia un trend destinato a durare. Quando saranno le app e i droni a sostituire le mascherine, e ci squillerà l’allarme sul cellulare ogni volta che ci avviciniamo troppo a un sospetto di contagio, pensate che gli guarderemo il volto, prima di fuggire? Persino la tv, regina del faccione, tant’è che per fare un complimento si dice «volto televisivo», massima autorità in materia di estetica dei lineamenti, tant’è che la chirurgia plastica modella nasi e zigomi sui suoi standard divistici, è stata invasa da volti nuovi e strani, ripresi dal basso, con le narici e il loro contenuto in primo piano, davanti a mediocri sfondi domestici, generalmente librerie semivuote. Quei giganteschi nasi e bulbi piliferi che spuntano dalle inquadrature Skype mettono definitivamente fine all’epoca della “calza” in tv, il metodo leccatissimo di ripresa che riuscì a trasformare Berlusconi in un Cavaliere delle favole. Oggi nessun politico può più azzardarsi a dire: ci metto la faccia.
Di tutte le cose che mi mancano, sono proprio i volti a mancarmi di più. Penso a quanta insofferenza mi dava la folla sull’83, o sul Corso al sabato sera, e quasi mi viene nostalgia di tutte quelle facce anonime ma reali. Vorrei rivedere i volti della gente del mio quartiere, che riemergevano alla mattina dal giornalaio o al bar, quel signore sempre azzimato che comprava il Corriere e il Foglio, quella signora sempre in tuta che prendeva cornetto vegano e cappuccino di soia. Vorrei rivedere il volto del barista del Quattro Fontane, cinemino con aperitivo. Vorrei rivedere il volto della ragazza che faceva pilates in palestra accanto a me, per mia colpevole distrazione sempre trascurato. Vorrei rivedere i volti dei miei colleghi di lavoro, oddio, quasi tutti. Vorrei rivedere i volti dei giocatori della mia squadra del cuore, anche se hanno appena preso un gol da Dybala. Vorrei anche rivedere i volti dei miei figli, che vedo meno adesso che stiamo tutti in casa di prima che si tornava tardi la sera, abitualmente sprofondati in uno schermo di computer, e non puoi nemmeno protestare perché ti rispondono che stanno facendo l’e-learning. Mi sono accorto all’improvviso che in fin dei conti siamo primati, e come le scimmie comunichiamo anche con le smorfie. Che le parole non bastano, e comunque stanno finendo, come l’amuchina.