Corriere della Sera - Sette

«MI SENTO ANCORA SPOSATA»

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cora messe male, dice? «Meglio di una volta, ma c’è ancora tanta strada da fare. Manca il sostegno tra le donne. Non c’è solidariet­à. Quando sento dire: “Sai lei è andata a letto con Tizio, mi cadono le braccia! Ma chissenefr­ega. Avrà avuto voglia di farlo. E allora?» Allora a un certo punto lei si sgancia da Giorgio Gaber e prova la sua strada di artista come Ombretta Colli. Non è facile all’inizio – viene bombardata di domande «Giorgio è d’accordo?», «Gaber è geloso?» – ma lei tira dritto con la sua forza. Una forza che emerge chiarament­e nel racconto di un episodio tremendo che nel ‘73 colpisce la loro vita: una minaccia di rapimento dell’allora piccola Dalia. Trovano un biglietto: se non ci date i soldi, prendiamo la bambina. Un capitolo del libro dedicato a quell’evento «che ci ha segnato profondame­nte e che per anni mi ha fatto vivere nella paura». Poi per fortuna la sua vitalità torna a vincere. Gli inizi degli anni Settanta sono anche gli inizi del teatro-canzone di Gaber-Luporini «il periodo piu felice della vita di Giorgio» e l’inizio va a votare per sua moglie.

Un grande gesto d’amore. Crede in lei e nelle sue doti. In molti non glielo perdonano. Ombretta le hanno chiesto scusa? Ha messo a posto le cose con quanti vi hanno attaccato allora? «Sì» risponde lei con un filo di noncuranza. E con una punta di sano cinismo: «Poi quando sono diventata presidente di Provincia tanti (ex) amici di sinistra sono venuti a chiedermi favori». Del resto la sua grande dote è sdrammatiz­zare sempre. Tranne la malattia di Giorgio, il dolore, la morte precoce il primo gennaio 2003. Lei è lì al suo fianco, nella loro casa di Camaiore, La Padula, un luogo incantato, tra campagna e mare. Lo guarda, prima che lui chiuda gli occhi, e gli dice: «Saremo sempre insieme».

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Sopra, due scatti di Giorgio Gaber e Ombretta Colli nel 1966

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