BENEDIZIONE/MALEDIZIONE NOI, NATIVI DIGITALI, IN SCATOLA
Vorrei raccontarvi cosa pensano i giovani di questi tempi tormentati, ma parlare a nome di tutti, o anche solo di alcuni, mi sembra presuntuoso e impraticabile. Dal modo in cui talvolta viene impiegato il termine “giovani”, ho l’impressione che lo s’intenda come qualcosa di affine a “gregge” o a “piccioni”, come fossimo tanti esseri più o meno ingruppati che condividono un animo solo. Invece a me pare che i giovani siamo esattamente tanto differenti tra loro quanto lo sono gli adulti.
Posso però provare a ripensare a quello che sto vivendo io dal giorno in cui mi hanno detto che non potevo più frequentare le lezioni e poi, in rapida sequenza, i bar, i ristoranti, i cinema, i giardini, insomma sostanzialmente che non potevo più uscire di casa. Se ripercorro gli avvenimenti, nulla è stato davvero repentino. Analogamente, la gravità della situazione non è stata compresa all’unisono: almeno nella mia cerchia di conoscenze, abbiamo cominciato ad accorgercene un pezzetto alla volta.
Un messaggio WhatsApp su un gruppo di amiche: ragazze, comunque io ho paura. Un’accortezza improvvisa, no, non andiamo lì, mi sembra ci sia troppa gente. E poco dopo è arrivata la quarantena e abbiamo scoperto ciò che è già stato detto da molte bocche sagge: i nostri piccoli mondi, le nostre certezze, i nostri privilegi, non sono scontati. Abbiamo scoperto, con incredulità, che al contrario, tutto può sparire da un momento all’altro. È stato forse un peccato averlo capito quando oramai ci era stato già tolto.
Una delle cose che ha benedetto queste lunghissime giornate casalinghe, oltre alla riconquista del tempo materiale — quanto sia bello potersi fermare a cucinare una torta o riaprire quel libro che non riuscivamo a portare a termine — è stata però la scoperta dell’incredibile potere della speranza. Ed essa è dotata di una caratteristica quanto meno ironica in questo momento storico, ma anche molto preziosa e confortante: la speranza è contagiosa.