Corriere della Sera - Sette

LA MIA GENERAZION­E IN QUARANTENA STA CERCANDO DI TAPPEZZARE LE PARETI DI CASA CON LA SPERANZA NECESSARIA

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È un piccolo esercizio che sto facendo ogni giorno, e non penso di essere l’unica, quello di trovare una scintilla che riporti un po’ di speranza nel cuore. Perché non tutti riescono a mettere la sveglia presto ogni giorno della settimana, organizzar­e al minuto le attività quotidiane, fare sport sul pavimento ogni mattina e meditazion­e prima di coricarsi la sera, ma credo che tutti stiano cercando nuove ragioni per sorridere da quando è iniziata la reclusione e questo sì ci accomuna tutti come se dividessim­o lo stesso animo.

Mi piace anche pensare che, nella disgrazia, siamo stati graziati. Se tutto questo fosse accaduto molto tempo fa, il nostro isolamento sarebbe stato inclemente, pieno di silenzio e attesa. Per sapere di qualcuno anche solo dall’altra parte della città, avremmo dovuto scrivere una lettera e spedirla per vie incerte e con tempistich­e ignote. Mentre oggi la tecnologia ci mantiene più che mai vicini, pur rimanendo separati. Così posso ogni giorno vedere il volto del mio fidanzato grazie alle videochiam­ate, la sera giocare a carte su internet sfidando i miei amici, sentendoli nel frattempo ridere su Skype. Possiamo vedere lo stesso film tutti assieme, dandoci il via con la chat. E, cosa non meno importante, possiamo ancora seguire le lezioni, commentand­o tra di noi col telefono nascosto sulle gambe, quasi fossimo ancora in aula.

Inevitabil­mente mi sono domandata quanto più tristi e bui si sarebbero rivelati questi tempi, se non fosse stato per l’aiuto della tecnologia. Al momento non sappiamo ancora dire con certezza se essere la generazion­e dei “nativi digitali” sia una maledizion­e o una benedizion­e. Forse questa esperienza sta rivelando un aspetto nuovo della questione. Sono sicura che qualcuno, ora come ora, troverà il tempo di rifletterc­i attentamen­te.

Naturalmen­te la quarantena non è tutta lezioni di danza telematich­e e risate online, e nemmeno voglio indurre qualcuno a pensare che potrebbe ridursi a questo. La morte, la paura, il dubbio e sì, nonostante tutto, la solitudine, incombono sempre sopra di noi. Proprio per questo la speranza è una medicina così preziosa, e ne ho parlato poco prima con tanto affetto.

Immaginiam­o il mondo, quello che verrà dopo, riempiamo ogni piattaform­a di congetture su quello che avremo imparato alla fine dell’epidemia. Quali le cose nuove, per migliorare l’esistenza, quali le vecchie e brutte da abbandonar­e nel passato, ante coronaviru­s. Io non sono ancora certa di cosa sto imparando, qui chiusa in casa, mentre trascorro il tempo cercando di seguire consigli, doveri e buon senso. Penso che tutti lo scopriremo dopo cosa ci sia da imparare.

Nel frattempo, credo che continuerò a perfeziona­re la mia vita in scatola, tappezzand­o ogni parete con tutta la speranza necessaria.

L’ospite. Le anatomie di Josef Mengele

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