NO BONACCINI
Il governatore dell’Emilia-Romagna rivendica il fatto di «essere stato il primo a chiudere bar, ristoranti e mercati per arginare il coronavirus». E anche di non aver mai perso una sfida: «Per la Regione avevo tutti i sondaggi contro. Ma in fondo non ho mai avuto paura»
sempre viste poco: di solito esco verso le 7 di mattina e torno a mezzanotte».
Ha qualche rimpianto come padre?
«Abbiamo un bellissimo rapporto. Penso di aver dato loro un buon esempio di dedizione al lavoro. Fare il politico e l’amministratore è un privilegio».
È stato prima bersaniano, poi renziano.
«È ridicolo essere definiti con i cognomi degli altri. E poi all’interno della stessa famiglia mi sembravano di volta in volta le persone più adatte. Lo sa che quando ho scelto Renzi per le primarie del dicembre 2013, molti in EmiliaRomagna hanno smesso di parlarmi?».
Da uomo di partito vecchio stampo, fedele alla linea, su richiesta della segreteria, in un paio di occasioni Bonaccini ha sacrificato le velleità nazionali sull’altare del territorio: «Nel 1995 ero uno dei candidati alla successione del mio amico Nicola Zingaretti per la leadership della Sinistra Giovanile e finii per guidare il partito a Modena. Nel 2014 stavo per diventare il segretario organizzativo del Pd renziano e mi chiesero di correre in Emilia-Romagna».
Il suo territorio. Lei è nato e cresciuto a Campogalliano, in provincia di Modena.
«Mia madre, orfana, era casalinga e ogni tanto lavorava confezionando maglieria. Mio padre era un camionista, fondatore di una delle prime cooperative di autotrasportatori».
C’era un volante nel suo destino?
«No. Ma amo guidare. La mia prima Seat Ibiza l’ho cambiata dopo che aveva percorso trecentoquarantamila chilometri. La seconda duecentoottantamila. L’ho buttata qualche mese fa, dopo un brutto incidente. Erano le due di notte e stavo rientrando da un comizio elettorale. Per schivare un Tir sono entrato nella coda di un camion: impatto, esplosione di airbag… ho avuto la sensazione di morire. Se non fossi diventato presidente di Regione, comunque, sarei stato calciatore».
Ruolo?
«Attaccante. A nove anni ho subìto un’operazione al cuore che mi ha tenuto fermo parecchi mesi. Forse avrei avuto poco futuro come professionista, però da dilettante ho giocato fino ai miei 38 anni».
Calciatori: Leo Messi o Cristiano Ronaldo?
«Ronaldo, per le doti naturali e l’incredibile lavoro quotidiano. Confesso: ho una chat di soli juventini in cui ci sono Evelina Christillin, politici anche leghisti e critici d’arte come Luca Beatrice». La politica come è entrata nella sua vita?
«La mia era una famiglia comunista. Tutti grandi grigliatori di salsicce alle Feste dell’Unità. Nel 1990 la prima vittoria elettorale». Per quale incarico?
«Assessore a Campogalliano. Da allora non ho mai perso neanche un’elezione».
È stato segretario cittadino del Pds a Modena, segretario regionale del Pd…
«E due mesi fa ho rischiato di essere il primo candidato di sinistra a perdere nella storia dell’Emilia-Romagna».
Ha avuto paura?
«No. Ma avevo tutti i sondaggi contro. Ho costruito una candidatura rassicurante, che invitasse a votarmi anche gli elettori della Lega e del M5S».
Essendo un candidato di coalizione non ha usato il simbolo del suo partito. Secondo lei alle prossime Politiche vi presenterete con il nome “Pd”?
«Non lo so. So che vorrei una classe dirigente ancora più in grado di ascoltare e di rispondere, facendosi capire da tutti. Sarà necessario individuare alcune parole chiave che spieghino chi siamo. Se dici Salvini pensi ai muri, al sovranismo. Ma se dici Pd…».
Me lo dica lei. Solo tre parole.
«Futuro…».
Un po’ vago.
«Quella dei nostri figli è la prima generazione del Dopoguerra che ha il timore di vivere peggio dei propri genitori. Quindi “futuro” è un concetto molto concreto. E poi lavoro e democrazia. Perché c’è chi ancora la mette in discussione».