SIGNORA IN ROSSO
Po agghindata in maniera vistosa. Decine di braccialetti d’oro tintinnano mentre estrae il portafoglio sempre gonfio di banconote, gesto che assottiglia giorno dopo giorno un’eredità paterna sperperata nelle gioiellerie, nelle boutique e sulle bancarelle dei mercatini. Poi, quando tramonta il sole, Franca si accompagna con le prostitute, gli spacciatori e i maghrebini di piazza Carlo Felice, alla disperata ricerca di fugaci avventure capaci di darle un sussulto di vita. Lei che è a modo suo ingenua e si fida di tutti. Ma la Franca esibizionista, che ostenta e provoca, è anche quella ingenua, che si fida di tutti ed è capace di improvvisi gesti di generosità. Nel campo nomade di via Aeroporto è di casa. Ai rom porta vestiti, cibo e da loro si fa leggere la mano perché è affascinata dalla magia e dall’occulto. A volte, forse, con loro traffica in piccoli gioielli e tessuti. Franca è la contraddizione e lo specchio dove si riflette la Torino della Prima Repubblica: l’ex capitale sabauda davanti al suo doppio, la luce e il buio, la borghesia e gli emarginati.
Era sposata da 14 anni con Giorgio Capra, un oscuro impiegato di Mirafiori, un uomo in grigio che aveva deciso di andare a dormire dalla madre, mentre la “sua” Signora in rosso, sempre più spesso, faceva perdere le sue tracce nel buio
Il matrimonio
Nel 1971 Franca ha sposato Giorgio Capra. Lei bella e piena di vita, figlia di un dirigente della Fiat, lui un oscuro impiegato proprio nell’ufficio contabile della Mirafiori, quello che a Torino insomma si dice un «travet». Se lei è la Signora in rosso, lui è di certo l’uomo in grigio. «Una coppia speculare e perfetta», la descriverà qualche anno dopo sulle pagine del Corriere lo scrittore torinese Nico Orengo. «Lui il giorno. Lei la notte. Una donna trasgressiva. Un marito irreprensibile. In una città fatta di rette e di angoli, militare e geometrica. Dove riesci a trovare le curve solo la notte». Ed è nella notte che Franca rifugge il conformismo per cercare se stessa. E nella notte si perde. Col passare del tempo, il marito preferisce sempre di più restare a dormire a casa della madre, a Val della Torre, alle porte di Torino, mentre lei fa le ore piccole nei localini di San Salvario. Dopo 14 anni di un matrimonio così, di fatto i Capra sono separati in casa.
Ma ora Franca è morta. E l’alba del 21 settembre trova Giorgio Capra stremato: in caserma lo hanno torchiato per ore. Il contabile deve confessare. Ha ucciso lui la moglie per rancore e gelosia verso
biglietti ritrovati in casa sono stati appuntati settimane prima. Nonostante una prostituta che esercita il mestiere proprio sulla strada per Moncalieri, non lontano dal cavalcavia dove è stato gettato il corpo di Franca, sostenga di riconoscere Giorgio Capra come un suo cliente occasionale, il 9 ottobre il contabile viene rilasciato. Meno di un anno dopo verrà definitivamente scagionato, con le scuse ufficiali.
Gli slavi
Agli inquirenti, seppur riluttanti, non resta che riavvolgere il nastro di quel maledetto sabato sera, seguire una seconda pista per cercare di fare luce nel buio che avvolge le ultime ore di vita di Franca. Una certezza però c’è: intorno alle 22.30 la donna è ancora viva, perché una volante l’ha notata a bordo di una Golf Gt. Con lei ci sono tre slavi che vivono proprio nel campo nomade di via Aeroporto. Il gruppetto si è recato in piazza San Carlo, ma solo uno degli stranieri ha accompagnato Franca all’interno del Caffè Mokita. Il cameriere del locale li ricorda, così come ricorda che Franca se n’è andata da sola sulla sua 126, auto ritrovata poi regolarmente parcheggiata vicino a casa. Gli investigatori si mettono allora sulle tracce dei tre uomini, ma quando l’identikit di uno di loro esce sui giornali, è ormai troppo tardi: giunti in via Aeroporto, gli agenti scoprono che Nikola Stoianovic, Radenko Nicolic e Nenad Jovanovic si sono dileguati. «Cosa avrebbero dovuto fare?», dirà un loro parente anni dopo, intervistato dal programma Telefono Giallo. «Non avevano fatto nulla, ma si sa che quando un rom viene arrestato poi non c’è nessuno che lo difende». Nell’ottobre 1992, però, poco più di un anno dopo la morte di Franca, a farsi avanti è il più giovane dei tre slavi, Nenad, minorenne all’epoca dei fatti. Lui dichiara la sua innocenza e quella degli altri due. Hanno lasciato Franca Demichela nel centro di Torino intorno alle 22.30 di quel sabato 14 settembre, spiega, e non ne hanno più saputo nulla.
Intanto, il medico legale ha stabilito che Franca non è stata uccisa sotto il cavalcavia, ma il corpo è stato portato lì già da cadavere. La morte per strangolamento è avvenuta altrove, in un arco di tempo compreso tra l’una e le due di notte. E proprio a quell’ora la