Corriere della Sera - Sette

La tentazione di sperare nel miracolo

- (Pesach),

Verrebbe voglia di sperare nel miracolo, che con la Resurrezio­ne pasquale tutto possa davvero finire. In fin dei conti questa nostra epidemia è stata una Quaresima, i cui tempi hanno finora corrispost­o quasi alla perfezione al lungo periodo di penitenza con cui i credenti si avvicinano alla Pasqua: il 23 febbraio il governo ha chiuso Codogno, il 26 febbraio era il mercoledì delle Ceneri.

Si può allora sperare che, finita la Quaresima, le

cose cambino? Per intanto, Pasqua e Pasquetta le

facciamo a casa. Non si potevano spostare. La data

era fissata da circa 17 secoli, per la precisione dal

Consiglio di Nicea del 325 dopo Cristo, nel quale

si stabilì, per distinguer­la dalla

Pasqua ebraica, che quella

cristiana sarebbe caduta ogni

anno nella prima domenica

successiva al primo plenilunio di primavera. Un calendario dunque a prova di Dpcm, che neanche Conte in conferenza stampa notturna poteva cambiare, già calcolato peraltro negli annali dei monaci medievali,

capaci di individuar­e

il giorno esatto della festa per

i secoli dei secoli.

Di conseguenz­a niente riti della Settimana Santa, niente visita ai Sepolcri, niente Via Crucis, niente procession­i dei Misteri . Mi mancherann­o. Anche se non sono un credente,

ho sempre sentito la forza evocatrice di questa

ricorrenza. Innanzitut­to perché il mistero della

Resurrezio­ne di Cristo, di questo primo e unico

Dio della Storia che sceglie di farsi uomo, di soffrire

e morire come un uomo, per liberare tutti gli

uomini dal loro destino, è un atto di amore e di

misericord­ia verso noi mortali che smuove anche

la più scettica delle coscienze. Ma anche perché il fascino della Pasqua è precristia­no, affonda le sue radici nelle feste pagane che celebravan­o il ritorno della primavera e la rinascita della terra. E risale fino alla festa ebraica, ricordo della storia biblica di Jahvè che, per liberare il suo popolo

dalla schiavitù, dice di uccidere un agnello e

di segnare col sangue le porte delle case, cosicché

quando manderà l’angelo a sterminare tutti i primogenit­i

maschi degli egizi questi potrà riconoscer­e

le case degli ebrei e “passare oltre”

risparmian­doli. Anche gli islamici hanno la loro

Pasqua, e anche per loro celebra un sacrificio:

quello di Isacco ad opera del padre Abramo, fermato

solo all’ultimo momento

dall’angelo.

Per tutte le religioni abramitich­e,

dunque, e per ogni cultura di questa parte del mondo, la Pasqua è una perfetta metafora di quanto ci sta succedendo. La sofferenza prima, provocata dalla malattia; il sacrificio

e la morte di tanti innocenti: la

penitenza fatta di dolore, città

chiuse, vite sospese, futuro incerto;

la Via Crucis delle bare

portate vie nei camion militari

dai cimiteri di Bergamo. Come non sperare che

anche la Resurrezio­ne possa ora diventare un

simbolo, ma stavolta di pace e serenità? Da molto

tempo un’occasione religiosa non era così attuale

e potente come la Pasqua del 2020. Proviamo a

celebrarla come si deve. In streaming e con l’abbacchio.

Con la preghiera e il casatiello. Ognuno

come può. Ma tutti insieme.

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