Corriere della Sera - Sette

Isolamento, il baratro del cibo

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le persone come me, ma era anche un circolo vizioso. Poi sono guarita, o almeno migliorata, ma ora che il coronaviru­s ha costretto tutti a casa, il mio timore – il mio terrore – è di ricadere nel baratro. Non è un timore solo mio, ma dei milioni di persone in tutto il mondo che soffrono di disturbi alimentari: disturbi mentali, che prosperano nell’isolamento e nel silenzio. Anoressia, bulimia, binging.

Ne scrive, su BuzzFeed, anche la giornalist­a Addy Baird. «Per dieci anni non avevo fatto altro che pensare al cibo: quante calorie avesse ogni alimento, come potessi smaltirle. Poi, grazie al mio psicoterap­euta e alla terapia di gruppo, ho iniziato a star meglio. Finché non è arrivato il virus. Come per chi ha una dipendenza, gran parte del mio processo di recupero si basa sulla routine, e ora la routine è andata a farsi benedire. Come posso condivider­e i pasti se non c’è nessuno con cui farlo?». Gli esperti concordano: l’isolamento è il miglior alleato dei disturbi alimentari. Ora però la prevenzion­e impone di isolarci. E isolarti può farti perdere il controllo, in un senso o nell’altro. Intrappola­ti in casa, senza amici, in mezzo a una pandemia contro cui non puoi fare nulla: il cibo ridiventa valvola di sfogo. Basta davvero poco.

Certo, c’è Internet. Negli Usa, dove i disturbi alimentari sono trattati con maggiore serietà, l’allarme è scattato subito, e molti hanno spostato le sessioni online. Ma non tutto si può fare online. «Con un passato di abbuffate», racconta Katelin, 19 anni, «una strategia è tenere in casa pochissimo cibo, comprando solo quello che mangi via via, ma oggi non è più possibile». E Savanna, 22enne ex anoressica. «Anche se non conto più passi e calorie, so bene quanto mi allenassi prima e quanto poco lo stia facendo adesso, e inizio a pensare, come un tempo, di non meritare il cibo».

Qualche tempo fa, dopo che in seguito a una brutta storia avevo preso a mangiare in modo incontroll­ato, mi sono chiusa in casa per tre anni. Il cibo era l’unico conforto dal dolore, e da una società che non capiva

UNA VITA DI BRICIOLE

«Diffidavo di qualsiasi cosa commestibi­le, ma riservavo al cibo tutti i pensieri della mia giornata». In (Feltrinell­i, 1994), uno dei primi libri in Italia a parlare di anoressia, la

giornalist­a Alessandra Arachi racconta la dipendenza dalla magrezza. E la rinascita.

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