Servono respiratori E più respiro sociale
Non dicono che la concentrazione delle cure nei grandi ospedali, la chiusura di quelli piccoli, lo smantellamento dei presìdi di zona, la chiusura di ambulatori, la rarefazione dei contatti diretti con il medico di base, oramai spesso considerato puro estensore di ricette per farmaci e analisi, tutto questo è stato una perdita feroce, un aumento del tasso di ansia e di incertezza per tanti italiani, specialmente residenti nelle grandi aree metropolitane. È aumentata la sensazione di essere soli. La sensazione di essere dei numeri da mettere in coda. Di non essere curati, accuditi, seguiti, monitorati, rassicurati. Non è solo nostalgia dei medici condotti di una volta (quante persone non erano tutelate quando il servizio sanitario non era universale e uguale per tutti). Ma è la constatazione che tra il cittadino abbandonato a sé stesso e i grandi centri ospedalieri non ci sia nulla, non ci sia alcun “corpo intermedio”, come vengono chiamate tutte quelle comunità che fanno da cuscinetto tra l’individuo e lo Stato, l’estremamente piccolo della propria abitazione e l’estremamente grande degli apparati mastodontici.
Per esigenze di razionalizzazione e di riduzione dei costi (ma senza la riduzione degli sprechi, degli ospedali fantasma del Sud, delle liste di attesa intollerabilmente lunghe) hanno concentrato, sradicato i piccoli ospedali. Ma la sensazione di solitudine che ne è scaturita è terribile: nessuno ti viene a soccorrere, se sei anziano e non ti senti bene la notte non ti resta che chiamare il 118 saturando inutilmente i pronto soccorso, che dovrebbero essere riservati solo ai casi gravi. La rivoluzione che auspichiamo della sanità dovrebbe essere quella della vicinanza, della tutela casa per casa, quartiere per quartiere, piccolo centro per piccolo centro. La rivoluzione dello stare vicini, del soccorso immediato, della rassicurazione anche. Nelle metropoli hai la percezione che nessuno pensi a te, che bisogna recarsi nei grandi centri lontani come i personaggi di Kafka quando vedevano da lontano il Castello. Ci vogliono risorse? Sì, ci vogliono risorse. Ma le risorse per decentrare, riavvicinarsi, presidiare il territorio sono risorse ben spese non solo in termini di efficienza sanitaria, anche come rafforzamento di uno spirito comunitario.
Se c’è qualcosa che questa terribile vicenda dovrebbe averci insegnato è che il mondo della sanità
Cosa avremo imparato da questa tragedia? Dicono, per esempio, che finalmente ci renderemo conto, e lo abbiamo capito pagando un prezzo umano altissimo, quanto sia stato stupido e arrogante aver tagliato le risorse della sanità pubblica. Dicono bene. Ma secondo me non dicono tutto.
IL MONDO DELLA SANITÀ È UNA COMUNITÀ, NON SOLO UN APPARATO FREDDO. CI VOGLIONO PIÙ MEDICI DI BASE, PIÙ RASSICURAZIONI.
è una comunità, non solo un apparato freddo. Che ci vogliono respiratori, ma anche un respiro sociale che accorci drasticamente la distanza tra chi sta chiuso in casa e un apparato ancora troppo lontano, nelle situazioni di normalità e non solo in quelle, terribili, dell’emergenza. Più medici di base, più presidi territoriali, più rassicurazione, più vicinanza. Più comunità. Chissà se riusciremo mai ad impararlo.