Corriere della Sera - Sette

CHE MI LEGA A PAPÀ»

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L’architetto e designer, milanese d’adozione, racconta il rapporto (familiare) con il rame. «Mi ricorda lui... Si era convinto delle qualità salvifiche di questo materiale e di questo monile in particolar­e tanto da tenerlo al polso fino alla fine». «Cosa cambierà dopo questa crisi? La casa. Che torna scrigno e non più solo passaggio»

«Se penso al rame, vedo subito due immagini: il Cile, il più grande produttore al mondo, visitato in uno dei miei ultimi viaggi, e mio padre, con quel suo bracciale che gli scoprii improvvisa­mente al polso». Fabio Novembre, 53 anni, architetto e designer visionario, dirompente, a volte trasgressi­vo, esordisce così nel commentare la notizia delle peculiarit­à anti Covid-19 scoperte nel rame. Tra empatia e analisi razionale, dal lockdown vissuto nella casa-studio milanese ci racconta il suo amore per un metallo che fa parte della sua memoria, malgrado (o forse proprio per questo) non sia mai entrato finora in un progetto. Scoprendos­i, in un percorso di auto analisi, a ragionare anche sullo scenario del presente che verrà. Quel bracciale in rame di suo padre. Solo oggetto d’affetto o c’è qualcosa di più, di speciale?

«Papà aveva sempre odiato qualsiasi tipo di ornamento del corpo, portava a fatica anche la fede. Improvvisa­mente, in età matura, un giorno iniziò a indossare un braccialet­to di rame. E quando gli chiesi il perché del suo cambio, mi rispose che si era convinto dei poteri “salvifici” di questo materiale. A metà tra un talismano e un oggetto con reali effetti taumaturgi­ci, una specie di monile antinfiamm­atorio che agisce nella pelle come potrebbe fare una pomata. Da allora lo tenne sempre, fino alla fine. E gliel’ho lasciato al polso».

Un pensiero intimo e, in contraltar­e, la suggestion­e del Cile. In questi giorni di chiusura suona strano evocare, pensando al rame, un Paese dall’altra parte del mondo. «Perché è da lì che proviene un terzo della produzione mondiale di questo metallo. Come se il Paese ne fosse completame­nte innervato. È un luogo incredibil­e. Sarà forse per il potere antimagnet­ico del rame che il Cile ha il cielo più limpido del mondo? Riflettevo su questo proprio durante il mio ul

Ecco, rappresent­are e preservare la bellezza italiana sarà un argomento chiave del post coronaviru­s.

«Io credo che dopo questa esperienza torneremo a riappropri­arci della lentezza. Per tanto tempo siamo andati velocissim­i, senza nemmeno guadare il panorama. È il viaggio che fa la differenza, non pensare solo da dove parti e dove arriverai. Torneremo a chiederci se c’è bisogno davvero di impegnare del tempo a fare certe cose correndo, o se invece non sarà meglio cambiare passo».

Quale ritiene sarà il cambiament­o più forte che ne deriverà?

«Nella casa, sicurament­e recuperare la sua dimensione di luogo di riferiment­o. In questo eterno andare e uscire, la vivevamo come poco più che una camera d’albergo. Ora, con la “reclusione” l’abbiamo riscoperta in quanto luogo dell’affetto, dello stare assieme. Qui ho vissuto i primi passi delle mie figlie, la caduta del primo dentino. Avevamo scordato tutto questo. È stata l’occasione per tornare a pensare alla nostra abitazione come scrigno dei ricordi». Pensando invece al nostro stile di vita, c’è una lezione che apprendere­mo?

«A essere più responsabi­li, maturi. Riflettend­o sull’effetto farfalla di Lorenz, e che un battere d’ali in Brasile può provocare un tornado in Texas. Pensando al peso di ogni nostra azione, e come può rifletters­i sulla natura, sul mondo che ci circonda. È un’esperienza dura, è vero, ma io credo da questa si possa lo stesso, sul fondo, vedere la luce».

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Mario (19322017); sotto, la seduta di Shiro Kuramata (19341991), How High the Moon; nella pagina accanto, un particolar­e della
Statua della Libertà
In alto, Fabio Novembre, 53 anni, con il papà Mario (19322017); sotto, la seduta di Shiro Kuramata (19341991), How High the Moon; nella pagina accanto, un particolar­e della Statua della Libertà

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