VIROLOGI CAPIRE IL MONDO IN 6 STORIE
I Paesi hanno fatto scelte diverse sulla pandemia, rispecchiando spesso la cultura dei propri Paesi. Chi sono gli esperti che hanno consigliato Merkel, Trump & gli altri
Paesi e virologi in ordine sparso nell’affrontare la pandemia da Covid-19. Ecco i ritratti e le posizioni scientifiche – spesso divergenti e in alcuni casi addirittura opposte – dei medici e degli epidemiologi che hanno offerto le basi scientifiche su cui i governi dei singoli Paesi hanno impostato le politiche di contrasto all’epidemia. Si va da una linea improntata alla massima cautela nei contatti sociali del greco Sotiris Tsiodras, dello statunitense Anthony Fauci e del britannico Chris Whitty, alle posizioni «aperturistiche» estreme del virologo svedese Anders Tegnell, che si è battuto contro il lockdown. Né mancano le controversie su chi, come il tedesco Christian Drosten, è stato accusato di metodi discutibili per aver paragonato il contagio degli adulti a quello dei bambini. Ecco le loro storie.
E’diventato in poche settimane una specie di «medico di famiglia» della nazione: il volto inglese della risposta al coronavirus è quello del Chief Medical Officer Chris Whitty, che quasi ogni giorno si affaccia dalla tv nelle case dei britannici per la conferenza stampa di aggiornamento della situazione. Un personaggio ormai così popolare che il governo lo ha utilizzato per una serie di spot promozionali sui comportamenti da seguire per tutelarsi dal virus. Il «nostro secchione-in-capo», lo hanno definito i giornali: epidemiologo fra i più competenti a livello internazionale, uscito da Oxford, con i suoi modi garbati e la voce calma ha conquistato tutti, a partire dal premier Boris Johnson. Tanto bravo che qualcuno ha suggerito di affidargli pure i negoziati sulla Brexit. Ma la flemma di Whitty nasconde un dramma personale: quando aveva 17 anni suo padre, un diplomatico britannico, venne assassinato ad Atene in un agguato attribuito ai terroristi palestinesi di Abu Nidal.
Qualunque politico firmerebbe per il suo tasso di popolarità, che ad aprile ha raggiunto il 94,6%. E molti dei suoi colleghi infettivologi toglierebbero tempo alle corsie d’ospedale e alla ricerca per concederne studi televisivi, se avessero anche solo la metà della sua influenza. ASotiris Tsiodras niente di tutto questo invece sembra interessare granché.
Greco ma nato in Australia in una famiglia dimigranti, sette figli, una passione per i cori religiosi bizantini, solidi studi a Harvard e al Mit, Tsiodras è un protagonista assoluto che non avrebbe mai voluto diventare tale.
Parla con cortesia, non tradisce mai alcuna traccia di narcisismo. Sommerso di richieste d’intervista dai media di tutto il mondo, non ne concede. Dalla fine di febbraio si è imposto all’attenzione del governo di Atene con i suoi consigli, che si sono rivelati correttissimi: anticipare il virus prima che quello travolga la Grecia. Oggi il suo Paese, in proporzione al numero degli abitanti, ha meno di un trentesimo dei morti dell’Italia.
«Non mi ero reso conto che fosse così popolare». Anthony Fauci che, nominato direttore dell’Istituto nazionale per le malattie infettive nel 1984, è stato il virologo ufficiale di sei leader, da Reagan a Trump, è stato di fatto esiliato dalla Casa Bianca perché ha commesso il peccato più grave agli occhi di un presidente populista: è diventato più popolare di lui.
Empatico, è stato capace di tradurre materie complesse in frasi semplici che, anche quando annunciavano passaggi duri come il lockdown, lasciavano spazio alla speranza.
Per un po’ ha anche convinto Trump a mettere la salute degli americani davanti alle ragioni dell’economia riuscendo a imporre una linea diversa da quella scelta dal presidente senza mai contraddirlo in modo aperto. Superata la grande paura dei milioni di morti, però, Trump è tornato a vedere anche la pandemia in termini elettorali e a travolgere in una visione ideologica perfino la protezione delle mascherine tanto care a Fauci.